Con i suoi lockdown, le sue restrizioni e le sue misure di distanziamento sociale, la pandemia ha determinato un anno lungo e faticoso, soprattutto per i bambini e i giovani, di cui spesso ci dimentichiamo.
Privati della loro quotidianità, lontani dagli amici, distanti dagli affetti e magari chiusi in casa con qualcuno che non può prendersi adeguatamente cura di loro, i bambini e gli adolescenti di oggi si trovano a soffrire di ansia, paura, incertezza per il futuro. Tutti fattori, insomma, che possono mettere seriamente a rischio il loro benessere psico-fisico.
Secondo l’Unicef, 1 bambino o giovane su 7 – ovvero 332 milioni nel mondo – ha vissuto per almeno 9 mesi, da quando ha avuto inizio la pandemia da Covid-19, sotto misure nazionali che prevedevano l’obbligo o la raccomandazione di permanenza a casa. E tali restrizioni hanno pregiudicato fortemente il suo stato di salute mentale.
Con l’inizio del secondo anno di pandemia l’impatto sul benessere psicosociale di bambini e adolescenti è diventato ancora più forte e non trascurabile. Si tratta di un fenomeno ancor più grave se si pensa che già prima della crisi sanitaria i più giovani sopportavano il peso dei rischi legati alla salute mentale, con la metà di tutti i disturbi psichici che si sviluppavano prima dei 15 anni e il 75% poco prima dell’età adulta.
Dunque, con l’emergenza coronavirus (purtroppo ancora in atto) i bambini appartenenti a gruppi di popolazione vulnerabili – come quelli che vivono e lavorano per strada, quelli con disabilità o che vivono in contesti di conflitto – rischiano che i loro bisogni legati alla salute mentale vengano completamente dimenticati. Un dato allarmante, soprattutto alla luce del fatto che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la crisi odierna ha interrotto o fermato i servizi fondamentali per la salute mentale nel 93% dei Paesi del mondo, mentre la richiesta di supporto in questi casi è in aumento.
Inoltre, secondo l’Unicef il Covid-19 sta peggiorando, a livello globale, la vita di milioni di ragazze, destinate a matrimoni precoci, gravidanze indesiderate e violenza di genere, con gravi conseguenze per la loro salute mentale e il loro benessere. Nel mondo, oggi, vivono 650 milioni di donne e ragazze che sono state date in sposa da bambine, la metà delle quali in Bangladesh, Brasile, Etiopia, India e Nigeria.
Tuttavia, negli ultimi 10 anni sono stati evitati 25 milioni di matrimoni precoci. Purtroppo però, lo studio dal titolo “COVID-19: A threat to progress against child marriage” condotto dal Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, evidenzia come la pandemia, con le sue restrizioni e le sue ripercussioni anche in termini economici, stia minacciando anni di progressi nella riduzione di questa piaga terribile. Con la conseguenza, tra le altre cose, che nel prossimo decennio fino a 10 milioni di giovani donne in più potranno correre il pericolo di essere date in sposa da bambine o prima del compimento del diciottesimo anno di età.
A distanza di un anno dall’inizio dell’emergenza Covid, sono dunque necessarie azioni immediate, come investire fortemente in servizi di salute mentale dedicati ai bambini e ai giovani. Quanto al fenomeno delle “spose bambine”, i progressi devono essere significativamente accelerati per compensare l’impatto negativo del virus e porre fine alla pratica entro il 2030, termine stabilito già negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. La riapertura delle scuole, le leggi e le politiche efficaci, l’accesso a servizi sanitari e sociali sono misure che devo essere urgentemente messe in atto per scongiurare il protrarsi di questo fenomeno, così come dichiarato dal direttore generale dell’Unicef Henrietta Fore.