L’impatto della pandemia su bambini, giovani e donne. L’allarme dell’Unicef


Articolo
Maria Rosaria Della Porta
bambini

Con i suoi lockdown, le sue restrizioni e le sue misure di distanziamento sociale, la pandemia ha determinato un anno lungo e faticoso, soprattutto per i bambini e i giovani, di cui spesso ci dimentichiamo.

Privati della loro quotidianità, lontani dagli amici, distanti dagli affetti e magari chiusi in casa con qualcuno che non può prendersi adeguatamente cura di loro, i bambini e gli adolescenti di oggi si trovano a soffrire di ansia, paura, incertezza per il futuro. Tutti fattori, insomma, che possono mettere seriamente a rischio il loro benessere psico-fisico.

Secondo l’Unicef, 1 bambino o giovane su 7 – ovvero 332 milioni nel mondo – ha vissuto per almeno 9 mesi, da quando ha avuto inizio la pandemia da Covid-19, sotto misure nazionali che prevedevano l’obbligo o la raccomandazione di permanenza a casa. E tali restrizioni hanno pregiudicato fortemente il suo stato di salute mentale.

Con l’inizio del secondo anno di pandemia l’impatto sul benessere psicosociale di bambini e adolescenti è diventato ancora più forte e non trascurabile. Si tratta di un fenomeno ancor più grave se si pensa che già prima della crisi sanitaria i più giovani sopportavano il peso dei rischi legati alla salute mentale, con la metà di tutti i disturbi psichici che si sviluppavano prima dei 15 anni e il 75% poco prima dell’età adulta.

Dunque, con l’emergenza coronavirus (purtroppo ancora in atto) i bambini appartenenti a gruppi di popolazione vulnerabili – come quelli che vivono e lavorano per strada, quelli con disabilità o che vivono in contesti di conflitto – rischiano che i loro bisogni legati alla salute mentale vengano completamente dimenticati. Un dato allarmante, soprattutto alla luce del fatto che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la crisi odierna ha interrotto o fermato i servizi fondamentali per la salute mentale nel 93% dei Paesi del mondo, mentre la richiesta di supporto in questi casi è in aumento.

Inoltre, secondo l’Unicef il Covid-19 sta peggiorando, a livello globale, la vita di milioni di ragazze, destinate a matrimoni precoci, gravidanze indesiderate e violenza di genere, con gravi conseguenze per la loro salute mentale e il loro benessere. Nel mondo, oggi, vivono 650 milioni di donne e ragazze che sono state date in sposa da bambine, la metà delle quali in Bangladesh, Brasile, Etiopia, India e Nigeria.

Tuttavia, negli ultimi 10 anni sono stati evitati 25 milioni di matrimoni precoci. Purtroppo però, lo studio dal titolo “COVID-19: A threat to progress against child marriage” condotto dal Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, evidenzia come la pandemia, con le sue restrizioni e le sue ripercussioni anche in termini economici, stia minacciando anni di progressi nella riduzione di questa piaga terribile. Con la conseguenza, tra le altre cose, che nel prossimo decennio fino a 10 milioni di giovani donne in più potranno correre il pericolo di essere date in sposa da bambine o prima del compimento del diciottesimo anno di età.

A distanza di un anno dall’inizio dell’emergenza Covid, sono dunque necessarie azioni immediate, come investire fortemente in servizi di salute mentale dedicati ai bambini e ai giovani. Quanto al fenomeno delle “spose bambine”, i progressi devono essere significativamente accelerati per compensare l’impatto negativo del virus e porre fine alla pratica entro il 2030, termine stabilito già negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. La riapertura delle scuole, le leggi e le politiche efficaci, l’accesso a servizi sanitari e sociali sono misure che devo essere urgentemente messe in atto per scongiurare il protrarsi di questo fenomeno, così come dichiarato dal direttore generale dell’Unicef Henrietta Fore.

Research Fellow dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata in Economia presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, con una tesi in Finanza Aziendale Internazionale. Successivamente ha conseguito un master di II livello in “Concorrenza, economia della regolamentazione e della valutazione”, presso la medesima università.

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