Cambiamento climatico, ecco come influisce sul fatturato delle imprese


Articolo
Giorgia Pelagalli
cambiamento climatico

Le conseguenze del cambiamento climatico sono ormai tangibili in molti ambiti della nostra quotidianità e l’andamento dell’economia non è da meno. L’aumento di un grado centigrado ha indotto, tra il 2009 e il 2018, un calo delle perfomance del tessuto imprenditoriale italiano pari al 5,8% del fatturato e al 3,4 della redditività, misurata tramite l’indicatore EBITDA (Earnings Before Taxes, Interest, Depretiation and Amortization).

L’Osservatorio Climate Finance della School of Management del Politecnico di Milano, che si occupa di ricerca sull’impatto del rischio climatico sulle performance e sul profilo di rischio di imprese, istituzioni finanziarie ed enti pubblici, il 27 aprile ha presentato i risultati del primo anno di attività durante l’evento intitolato “Climate Finance: Rischi e Opportunità per le Imprese”.

Al fine di identificare il legame tra clima ed economia, l’Osservatorio ha fondato i propri studi su evidenze empiriche tanto che le analisi condotte confrontano e incrociano i dati del tessuto imprenditoriale nazionale ed europeo con le informazioni metereologiche. Il dataset economico-finanziario utilizzato comprende oltre 22 milioni di imprese europee e oltre un milione di italiane, di cui l’82% sono di piccola dimensione, e copre il decennio che va dal 2008 al 2019. Mentre i dati climatici su temperatura, precipitazioni, pressione atmosferica e radiazione solare partono dal 1950 e sono a frequenza giornaliera.

Dallo studio emerge l’eterogeneità nelle reazioni dei diversi settori dell’economia nazionale al cambiamento climatico. In particolare, il ramo delle costruzioni risulta essere quello maggiormente esposto alla crescita della temperatura, dal momento che l’aumento di un grado ha portato in un decennio a una riduzione del fatturato di settore di oltre il 16% e a un calo di più di 7 punti percentuali dell’EBITDA. A seguire, il settore finanziario (rispettivamente -11,8 e -5,9%) e le estrazioni (-10,4 e -7,6%). Inoltre, mentre il commercio al dettaglio, l’immobiliare, il manifatturiero e la ricerca sono stati segnati da riduzioni relativamente moderate di fatturato e marginalità (comprese tra -3 e -7%), l’agricoltura, il turismo e i trasporti risultano essere stati i mercati meno danneggiati dall’emergenza ambientale.

Dal punto di vista geografico, invece, le aree più colpite sono state il Centro e il Nord-Est. Nell’arco dei dieci anni considerati l’effetto stimato dell’aumento di 1°C sul fatturato delle imprese di queste zone è rispettivamente di -10,6 e -10 punti percentuali. Tuttavia, le aziende del Nord-Est sembrano essere più resilienti dal punto di vista della redditività, con un effetto sull’EBITDA pari a -4,2%, contro il più ingente calo del -8,5% per le imprese del Centro.

Sebbene gli effetti del riscaldamento globale possano apparire, a una prima analisi, riscontrabili solo nel lungo periodo, è importante sottolineare come i danni siano in realtà ingenti anche nell’arco di un unico anno. Se si considera solo il 2018, che è stato particolarmente caldo, la somma delle perdite in termini di fatturato registrata sul territorio nazionale ammonta a ben 133 miliardi di euro.

Inoltre, eventi fisici acuti, come tempeste, alluvioni o incendi boschivi sono in grado di danneggiare profondamente i processi produttivi e di erogazione di servizi in maniera imprevista e significativa. Dal confronto con un campione di controllo di imprese gemelle, l’Osservatorio ha stimato che, a distanza di un anno, un’alluvione può portare per le imprese del territorio soggetto all’evento a una riduzione degli asset dello 0,83% e di -3,99% del fatturato. Secondo la European Environment Agency, la perdita in termini economici subita dall’Europa tra il 1980 e 2019 a causa di eventi climatici estremi è pari 446 miliardi di euro.

La necessità di un’inversione di marcia in materia ambientale è sottolineata da innumerevoli studi e analisi che evidenziano come il cambiamento climatico abbia forti impatti non solo sul sistema economico globale, ma anche e soprattutto sulla biodiversità del nostro pianeta. Negli ultimi anni, caratterizzati da una crescente consapevolezza e sensibilizzazione sulle tematiche green, sono stati molti gli eventi organizzati da istituzioni internazionali volti alla definizione di obiettivi comuni di sostenibilità. Tra i più recenti, il summit del 22 aprile convocato dalla Casa Bianca, che ha riunito 40 leader mondiali per trattare del tema. L’economista e attivista ambientale Jeremy Rifkin, commentando l’evento, ha segnalato l’importanza di una transizione verde, ovvero di un cambio di paradigma energetico che faccia perno sulle energie rinnovabili. Nell’intervista rilasciata a Repubblica, Rifkin ha sottolineato come ad oggi sia il mercato stesso a portare in questa direzione: “Ormai è il mercato a spingere verso la transizione. Le fonti rinnovabili stanno per diventare più economiche di quelle tradizionali“.

Nata a Formia nel 1996 e adottata da Roma nel 2015, ha conseguito la laurea triennale in Scienze economiche presso La Sapienza di Roma con una tesi sperimentale sull’Indice di Sviluppo Umano. Attualmente è borsista presso il Collegio Universitario dei Cavalieri del Lavoro “Lamaro Pozzani” e studentessa del Master of Science in Economics presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

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