Il cambiamento climatico, definito “la più grande minaccia sanitaria globale del 21° secolo” da The Lancet, è ad oggi causa di danni alla salute umana e si prevede che il suo impatto sarà ancora più devastante in futuro. Alcuni tra i principali pericoli riguardano la diffusione di malattie trasmesse da vettori, l’aumento delle temperature, la siccità, le tempeste violente, le inondazioni e la migrazione di massa dei rifugiati climatici. Si stima che entro il 2030 il cambiamento climatico potrebbe spingere oltre 100 milioni di persone nella povertà estrema, con conseguenze particolarmente intense nei paesi a basso e medio reddito, ed effetti negativi sulla salute.

Un altro aspetto critico concerne l’inquinamento legato al settore sanitario e in particolar modo l’impatto ambientale dei farmaci. Nonostante rappresenti il 10% del PIL mondiale e abbia il compito di prevenire, trattare e curare le malattie, il comparto della salute è stato a lungo trascurato quando si trattava di misurarne l’impatto climatico. È solamente nell’ultimo decennio che alcuni paesi hanno iniziato a valutare la portata del fenomeno. Studi condotti negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Australia e in Canada hanno rilevato che le emissioni sanitarie rappresentano una percentuale significativa delle emissioni totali nazionali, rispettivamente l’8%, il 6,3%, il 7% e il 5% del totale.

L’IMPRONTA CLIMATICA DELLE FONTI DI EMISSIONI

I dati nel grafico sottostante forniscono una panoramica delle fonti di emissioni nel settore della salute, evidenziando diverse aree di impatto ambientale. Concentrando l’attenzione sulle emissioni operative delle strutture sanitarie, che raggiungono il 13% di quelle totali nel settore salute, possiamo notare che queste costituiscono una quota significativa dell’impatto complessivo e derivano da varie attività, come l’uso di dispositivi medici e la gestione dei rifiuti sanitari. Ridurle potrebbe essere un obiettivo chiave per migliorare la sostenibilità ambientale dell’intero comparto.

La distribuzione di elettricità, gas e calore o raffreddamento rappresentano invece la fonte più significativa di emissioni, con il 40% del totale. Questo sottolinea l’importanza di ridurre l’uso di fonti non rinnovabili nelle strutture sanitarie e di implementare misure di efficienza energetica.

Le emissioni del settore salute sono inoltre distribuite in altre industrie e servizi, come i prodotti farmaceutici e chimici, il trattamento dei rifiuti e le industrie primarie. Questo evidenzia la necessità di una collaborazione intersettoriale per affrontare efficacemente l’abbattimento delle emissioni nel settore salute, coinvolgendo fornitori, produttori e altri attori nella catena di approvvigionamento per adottare pratiche più sostenibili.

Inquinamento del settore salute

Fonte: HCWH

A livello globale le emissioni medie pro capite per le attività sanitarie sono state di 0,28 tonnellate equivalenti di anidride carbonica (tCO2e) nel 2022. Le emissioni pro capite rappresentano una metrica importante per comprendere e creare soluzioni al cambiamento climatico sulla base dell’equità.

Ad esempio, l’India, che ha la settima maggiore impronta climatica nel settore sanitario nel mondo (39 milioni di tonnellate di CO2e), ha le emissioni pro capite legate alla salute più basse (0,03 tonnellate metriche) di tutti i paesi presi in considerazione. Di converso, il settore sanitario degli Stati Uniti, il principale emettitore del mondo sia in termini assoluti che pro capite (546 milioni di tonnellate assolute, 1,72 tonnellate metriche pro capite), produce emissioni 57 volte superiori per persona rispetto all’India. Altri soggetti protagonisti nel settore sanitario a livello globale, come Australia, Canada e Svizzera, emettono tra 30 e 50 volte di più pro capite rispetto all’India.

La Cina, al secondo posto in termini di emissioni assolute nel settore sanitario, ha emissioni pro capite (0,25) che si attestano appena al di sotto della media mondiale (0,28). Questo significa che il settore sanitario cinese produce 6 volte più gas serra per persona rispetto all’India. Tuttavia, il sistema sanitario cinese emette anche un settimo delle emissioni pro capite degli Stati Uniti, un terzo di quelle della Corea e poco meno della metà di quelle dell’Unione Europea.

Health footprint per capita (tCO2e/capita)

Farmaci

Fonte: HCWH

FARMACI NELLE ACQUE DELL’UE

Oltre all’impronta di carbonio, è significativo conoscere e riconoscere l’impatto ambientale dei prodotti farmaceutici. È stato dimostrato che dal 30% al 90% dei farmaci che consumiamo per via orale, come gli antibiotici, gli ormoni e gli analgesici, vengono rilasciati nei fiumi e nei suoli come sostanze attive. Questo ha conseguenze negative sull’ambiente circostante, sulla fauna selvatica e, in ultima analisi, sulla nostra salute.

La mappa successiva evidenzia la presenza di farmaci nelle acque superficiali, sotterranee, nei rubinetti e/o nelle acque potabili di ciascun Paese dell’Unione Europea, offrendo un’indicazione chiara della diffusione di tali sostanze nell’ambiente e della necessità di affrontare questa problematica su scala globale. Sono infatti circa 4.000 i principi attivi presenti nei farmaci utilizzati in tutto il mondo. Fino al 90% delle dosi assunte per via orale può essere espulso dal nostro organismo come sostanza attiva. Tuttavia, il 10% di queste sostanze presenta un potenziale rischio ambientale.
Uno dei principali problemi è che queste sostanze sono progettate per mantenere la loro stabilità all’interno del nostro corpo. Ma una volta che entrano nell’ambiente, rappresentano immediatamente un pericolo perché non si degradano facilmente.

Farmaci ritrovati nelle acque dei paesi dell’UE

Fonte: HCWH e Ocse

FARMACI INQUINANTI

Il corretto smaltimento dei farmaci rappresenta pertanto una delle sfide cruciali per la sostenibilità ambientale poiché, una volta assunti, questi composti vengono successivamente dispersi nell’ambiente attraverso le urine e le feci, sia nella loro forma originale che come metaboliti. Il loro inappropriato rilascio nei sistemi idrici, tramite impianto fognario, ha ricadute negative per la flora e la fauna.

L’esposizione degli organismi acquatici a farmaci e ai loro derivati può minare l’equilibrio ecologico. Un esempio, sono stati riscontrati casi di neurotossicità in diverse specie animali in seguito all’esposizione ad analgesici, mentre si è verificata la comparsa di resistenze microbiche in piante e animali a contatto con antibiotici.
I grafici qui sotto riportati consentono di osservare i valori di rischio ambientale per i 30 farmaci a maggior consumo in Italia nel 2022 e per i farmaci inclusi nella Watch List europea a maggiore tossicità ambientale.

Valori di rischio ambientali per i 30 farmaci a maggior consumo in Italia nel 2022

Farmaci

Valori di rischio ambientali per i farmaci inclusi nella Watch List europea

Fonte: Aifa

Similmente, dal Rapporto OsMed emerge la necessità di prestare attenzione all’impatto ambientale dei farmaci.

LA STRETTA EUROPEA SULL’USO DEI FARMACI

A livello europeo sono state adottate misure volte a monitorare la presenza dei farmaci nell’ambiente e valutarne il rischio, concentrandosi principalmente sul controllo delle acque superficiali. Dal 2006 l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha reso obbligatoria la valutazione del rischio ambientale durante il processo di autorizzazione di un farmaco, fornendo dettagli sulla sua tossicità per gli organismi acquatici e sull’atteso impatto in base ai consumi. Inoltre, nel 2008, la Commissione Europea ha introdotto un sistema di monitoraggio obbligatorio delle acque superficiali denominato Watch List, che include anche alcuni farmaci ad uso umano. Lanciata nel 2015, questa iniziativa rivede periodicamente l’elenco delle sostanze, contribuendo a una gestione più consapevole degli impatti ambientali derivanti dall’uso dei farmaci. Infine, si prevede che la modifica della legislazione farmaceutica europea, oggetto di voto il 10 aprile, porterà ulteriori cambiamenti al quadro normativo ambientale relativo ai farmaci sia a livello europeo che italiano.

Parere della Commissione è infatti che la realizzazione degli obiettivi di sostenibilità ambientale delineati nella strategia farmaceutica e nelle iniziative connesse al Green Deal europeo richieda un impegno anche da parte dell’industria farmaceutica per ridurre l’impatto dei suoi prodotti sul Pianeta e sulla biodiversità. La produzione industriale, entrando nel ciclo dell’acqua e nella catena alimentare, impatta direttamente sui fattori di rischio per la salute umana, rendendo essenziale una valutazione accurata dei rischi ambientali associati ai farmaci.

La proposta di riforma della legislazione farmaceutica agisce su questo fronte prevedendo un rafforzamento e l’obbligatorietà della valutazione del rischio ambientale (ERA, Environmental Risk Assessment) dei farmaci e sulla salute pubblica. Attualmente, l’ERA è un requisito obbligatorio per tutte le aziende farmaceutiche che intendono commercializzare i propri medicinali nell’UE, concentrandosi sull’uso e sul corretto smaltimento dei farmaci, mentre la proposta mira a promuovere le norme ambientali dell’UE anche a livello internazionale. Le principali misure includono:

  1. Rafforzamento dell’ERA. L’autorizzazione all’immissione in commercio dovrebbe essere rifiutata nel caso in cui le aziende non forniscano prove adeguate alla valutazione dei rischi ambientali o se le misure di mitigazione del rischio proposte risultano insufficienti per affrontare il rischio.
  2. Stabilire requisiti ERA più chiari. Definizione di requisiti ERA più chiari, compresa la conformità con linee guida scientifiche specifiche e l’implementazione di aggiornamenti regolari dell’ERA.
  3. Estensione del campo di applicazione dell’ERA. Ampliamento del campo di applicazione dell’ERA per includere i rischi ambientali derivanti dalla produzione di antibiotici.
  4. Estensione dell’ERA a prodotti già in commercio. Espansione dell’applicazione dell’ERA a tutti i prodotti già in commercio (prima del 2005) che potrebbero comportare potenziali danni ambientali.

Inoltre, la riforma introduce un’unica procedura ERA dell’UE per le sperimentazioni cliniche, con l’intento di semplificare il processo di valutazione ambientale. Di conseguenza, un’unica valutazione armonizzata a livello dell’UE sostituirà quelle effettuate dagli Stati membri, eliminando la necessità per gli sponsor delle sperimentazioni cliniche di presentare richieste di autorizzazione multiple, contribuendo così a un approccio più efficiente e coordinato a livello europeo.

L’Unione Europea sembra quindi consapevole dei rischi ambientali del settore, come evidenziato dal nuovo “pharma package”, nel quale dedica una parte rilevante della direttiva alle nuove regolamentazioni ambientali. Le nuove regole tuttavia comporterebbero un impatto stringente con un conseguente aumento dei costi, degli sforzi e la richiesta di una considerevole quantità di dati, elementi non sempre facilmente accessibili a tutti. Lo studio di EFPIA sottolinea che, qualora i collegamenti tra la legislazione farmaceutica e le normative ambientali determinassero aumenti significativi nei costi di sviluppo e produzione, gli incentivi europei per l’innovazione ne risentirebbero. Aumenti del 5% dei costi di ricerca e sviluppo e del 20% dei COGS, oltre ad altri cambiamenti direttamente integrati nella legislazione, potrebbero tradursi nel fatto che la metà dei prodotti non sarà più economicamente sostenibili in Europa entro i prossimi 15 anni.

Relativamente all’innovazione prevista per il 2035, l’ecosistema attuale conta 225 prodotti. Con la proposta della Commissione si stima una diminuzione del 22%, con 50 prodotti “persi”, mentre l’implementazione delle regolamentazioni ambientali porterebbe a una diminuzione più drastica del 55%, con 124 prodotti “persi”.
Questi dati suggeriscono che, se da un lato le proposte siano volte a promuovere la sostenibilità ambientale, dall’altro potrebbero comportare notevoli sfide economiche con ricadute negative sulla capacità di innovazione dell’ecosistema e una riduzione complessiva sia valore che della quantità di prodotti previsti per il futuro.

Laureato in scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università di Roma La Sapienza, con una tesi sull’evoluzione delle politiche monetarie. È ora iscritto al corso magistrale in “economia e politiche per la sostenibilità globale” presso la medesima università.