In un contesto mondiale segnato da cambiamenti geopolitici, ambientali e sociali, l’invecchiamento della popolazione è un fenomeno sempre più evidente, soprattutto nei paesi occidentali. Questo scenario, particolarmente marcato in Italia, ha profonde implicazioni sulle condizioni di salute e sulle politiche pubbliche, compreso il welfare e le politiche migratorie. In Italia l’aspettativa di vita, che ha raggiunto gli 83,1 anni nel 2023, continua ad aumentare, mentre il tasso di natalità è in costante calo, portando a una popolazione sempre più anziana con oltre 22.500 centenari.
Nel 2023 circa il 24% degli italiani aveva più di 65 anni, e il 7,6% era ultraottantenne, il che fa dell’Italia uno dei paesi più anziani del mondo, secondo solo al Giappone. La diminuzione delle nascite e l’aumento della popolazione anziana stanno invertendo la piramide demografica, con un rapporto di dipendenza degli anziani in crescita. Se la tendenza proseguirà, entro il 2050 il numero di anziani e giovani non attivi potrebbe eguagliare quello della popolazione in età lavorativa mettendo a dura prova il sistema previdenziale e il welfare del Paese.
Piramide demografica italiana – 2023
Fonte: istat
L’aspettativa di vita in buona salute in Italia alla nascita è di 67,4 anni, significativamente inferiore all’aspettativa di vita complessiva che si attesta a 83,1 anni. Questo divario di oltre 15 anni indica che, sebbene gli italiani vivano a lungo, una parte consistente della loro vita potrebbe essere caratterizzata da malattie o condizioni di salute che richiedono cure e assistenza. Questo fenomeno solleva questioni importanti dal punto di vista medico, sanitario e socioeconomico.
Infine, è interessante notare che l’aspettativa di vita in buona salute (67,4 anni) coincide quasi con l’età pensionabile in Italia, suggerendo che molte persone potrebbero arrivare alla pensione senza essere in piena salute, il che evidenzia la necessità di riforme per migliorare la qualità della vita in età avanzata.
L’Italia si distingue dunque come il paese più anziano d’Europa, come evidenziano anche i dati di Eurostat del 2023 che analizzano l’età mediana nelle diverse regioni europee. La Liguria emerge come la regione con l’età mediana più alta dell’intera Unione Europea, con 52,1 anni. Anche altre regioni italiane mostrano livelli simili di invecchiamento: Sardegna e Friuli-Venezia Giulia (50,6 anni), Piemonte e Molise (50 anni), Toscana e Umbria (49,9 anni), Valle d’Aosta (49,7 anni) e Marche (49,5 anni). Questi valori rispecchiano una forte tendenza all’invecchiamento della popolazione in molte aree italiane.
D’altro canto, la provincia autonoma di Bolzano rappresenta l’eccezione con un’età mediana di 44,9 anni che la rende la regione più giovane del Paese. In Europa le regioni con l’età mediana più bassa, escludendo i dipartimenti d’oltremare francesi, sono quella di Bruxelles e la città autonoma di Melilla in Spagna (entrambe con 35,9 anni) e la regione Eastern and Midland in Irlanda (37,9 anni).
Questi dati rivelano come alcune zone d’Europa, in particolare in Italia, abbiano un’elevata concentrazione di anziani, tra cui molti centenari. Questo fenomeno invita a una riflessione non solo sugli effetti negativi dell’invecchiamento demografico in termini di welfare e politiche sociali, ma anche sui possibili fattori positivi legati a uno stile di vita che favorisce la longevità in queste regioni. Analizzare tali aree può fornire indicazioni utili per comprendere meglio le condizioni che promuovono una vita lunga e sana.
Età mediana in Europa per regione – 2023
Fonte: Eurostat
Focalizzandoci sui dati dei centenari in Italia, alcune province si distinguono per un’alta concentrazione di persone che raggiungono e superano i 100 anni. Tra queste, spicca Isernia, con una densità di 0,743 centenari ogni 1000 abitanti. Seguono Trieste, La Spezia, Genova, Imperia, Siena, Firenze, Ravenna e Nuoro. Queste province sono caratterizzate da un’eccezionale longevità tra i loro residenti, contribuendo così al profilo di longevità che l’Italia può vantare.
Centenari ogni 1000 abitanti per provincia – 2024
Fonte: Elaborazione I-Com su dati istat
Secondo i dati ISTAT del 2024, analizzando i comuni italiani con una popolazione di circa 500 abitanti o superiore, escludendo quelli più piccoli che potrebbero alterare le stime, emerge che tra i primi 10 comuni per numero di centenari ogni 1.000 abitanti, 5 sono situati in Sardegna: Banari, Giave, Cossoine, Seulo e Aglientu. Gli altri 5 comuni sono: Romagnese in Lombardia, Malvagna in Sicilia, Castelgrande in Basilicata, Canna in Calabria e Monrupino-Repentabor in Friuli-Venezia Giulia. L’indice di ultracentenari in questi comuni varia da un minimo di 4,76 a un massimo di 7,77 per Aglientu.
Centenari ogni 1000 abitanti per comune – 2024
Fonte: Elaborazione I-Com su dati istat
Il grafico elaborato sui comuni conferma che, sebbene vi siano alcuni casi isolati, molte delle aree con un alto indice di ultracentenari si trovano in zone montagnose, rurali o collinari. Questi luoghi, lontani dalle grandi città, sono caratterizzati da stili di vita tradizionali che ancora resistono alla moderna globalizzazione.
Negli ultimi dieci anni, diversi studi hanno cercato di approfondire le caratteristiche e i fattori che contribuiscono alla longevità e alla salute ottimale della popolazione. In particolare, Gianni Pes e Michel Poulain hanno pubblicato nel 2013 uno studio demografico sulla longevità umana su Experimental Gerontology, dando vita al concetto di “blue zones”. Tale termine identifica le aree con la maggiore concentrazione di centenari al mondo. Tra queste, la provincia di Nuoro in Sardegna, e in particolare l’Ogliastra, si distingue come la zona con la più alta densità di ultracentenari. Le altre quattro blue zones identificate sono l’isola di Okinawa in Giappone, Nicoya in Costa Rica, Icaria in Grecia e la comunità degli Avventisti a Loma Linda, in California.
In particolare, la blue zone dell’Ogliastra, identificata dallo studio di Pes e Poulain, mostra una concentrazione di centenari e un’aspettativa di vita superiori alla media, risultando tra le più alte al mondo. I dati rielaborati dall’ISTAT confermano che l’Ogliastra include diversi comuni che superano la media italiana di 0,38 centenari ogni 1.000 abitanti, raggiungendo picchi di 8, anche in più paesi limitrofi.
Blue zone e centenari ogni 1000 abitanti per comune – Sardegna 2024
Fonte: 1°: Michel Poulain, Anne Herm, Gianni Pes – 2°: Elaborazione I-Com su dati istat
È interessante a questo punto esplorare i fattori e gli stili di vita che contribuiscono a un’aspettativa di vita così elevata. Per comprendere meglio i segreti della longevità sarda, è utile esaminare il loro stile di vita e la loro alimentazione. Gli studi hanno rivelato molte somiglianze nelle abitudini e nelle pratiche tra le cinque Zone Blu (LBZ). Tra le abitudini fondamentali legate alla longevità si annoverano il movimento, un’alimentazione equilibrata, una vita meno stressante e un forte impegno verso la famiglia e i propri cari.
In particolare, le differenze nelle composizioni delle diete possono essere uno dei fattori chiave che influenzano i modelli di salute e la durata della vita nelle diverse popolazioni globali. Le zone con alta longevità mostrano infatti spesso diete ricche di alimenti freschi e naturali.
DIETA SARDO-MEDITERRANEA
La dieta media americana in Nord America, nota anche come dieta americana standard (SAD), differisce notevolmente da quella mediterranea e, in particolare, dalla dieta sarda della regione montuosa orientale. Un’indagine sulla salute e nutrizione del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha mostrato che nella SAD, circa il 47,3% delle calorie totali proviene dai carboidrati, il 34,9% dai grassi e il 16,1% dalle proteine.
I modelli alimentari variano tra i diversi paesi europei. Ad esempio, uno studio in Francia ha trovato che il consumatore medio francese consuma in media 75,5 g di grassi, 205,6 g di carboidrati, 81,2 g di proteine e 11,8 g di alcol al giorno, che corrisponde a un apporto energetico totale di 2252 kilocalorie. Questo si traduce in circa il 34% dell’apporto energetico dai grassi, il 36,5% dai carboidrati, il 14,4% dalle proteine e il 3,6% dall’alcol. In Italia, il 9,4% dell’apporto calorico giornaliero proviene dalle proteine della carne, il 12,8% dai latticini e il 38,2% dai cereali.
Ci sono diverse differenze tra la dieta sarda e quella del resto del mondo occidentale. Ad esempio, la dieta sarda contiene pochissime proteine animali, consumando carne con parsimonia, utilizzandola come cibo celebrativo o per insaporire i piatti (5% rispetto al 10-16% dei paesi europei o americani). Al contrario i sardi, essendo una popolazione della zona blu, si affidano fortemente al consumo di prodotti lattiero-caseari, in particolare latte di capra e di pecora, per il loro apporto calorico. Nella SAD il 47,3% delle calorie proviene dai carboidrati e solo il 13,7% dell’apporto totale di cereali per gli adulti negli Stati Uniti è composto da cereali integrali. In confronto, il 47% delle calorie nella dieta tradizionale sarda proviene da cereali integrali. Inoltre, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha stimato che un terzo del consumo totale di cereali da parte del cittadino americano medio avviene nei ristoranti. Questi prodotti sono altamente raffinati e lavorati per enfatizzare il gusto piuttosto che i nutrienti.
Oltre a fornire più micronutrienti, il consumo di cereali integrali ha altri benefici per promuovere la longevità. I sardi mangiano quotidianamente una manciata di noci, in particolare mandorle (ricche di vitamina E e magnesio), pistacchi e noci (ricche di acido alfa-linolenico, un grasso omega-3). Una recente revisione sistematica ha notato che il consumo a lungo termine di cereali integrali anziché raffinati migliora i livelli di colesterolo totale, trigliceridi e emoglobina, fattori strettamente legati alla buona funzione corporea e a un rischio ridotto di malattie croniche o cardiovascolari. È stato inoltre dimostrato che il consumo di cereali integrali invece di cereali raffinati, che sono bilanciati per lo stesso numero di kilocalorie, risulta in una maggiore sensazione di sazietà 3 ore dopo la colazione, 2 ore dopo il pranzo e 1 ora dopo la cena. Un aumento della sensazione di sazietà dopo il pasto ha aiutato i sardi a mantenere una dieta a restrizione calorica di circa 2000 kcal, che è stata collegata alla loro longevità. In confronto, l’apporto calorico medio nel resto d’Italia e negli Stati Uniti è rispettivamente di 2.149 kcal e 2.200 kcal.
Questa sensazione di sazietà prolungata si verifica perché i cereali integrali hanno un indice glicemico molto più basso rispetto ai cereali altamente raffinati. Gli alimenti con un indice glicemico più alto causano fluttuazioni maggiori nei livelli di insulina. L’effetto a lungo termine delle alte fluttuazioni di insulina è stato associato anche a un aumento del rischio di diabete.
Inoltre, circa 480 kcal, quasi il 23% delle calorie giornaliere nella SAD, proviene da zuccheri aggiunti. Alcune delle fonti di zuccheri aggiunti includono bevande zuccherate gassate, dolci, torte e biscotti. Questi alimenti sono densi di calorie, ad alto indice glicemico, ma anche molto poveri di nutrienti, ed è dimostrato che aumentano il rischio di malattie croniche come malattie cardiovascolari o diabete. La dieta sarda, al contrario, contiene solo il 3% delle calorie da zuccheri aggiunti.
Parte fondamentale della dieta risultano poi le verdure, con una densità di nutrienti molto più alta rispetto alla carne e ai cereali. Pertanto, anche consumando la stessa quantità di calorie, le verdure sono molto più nutrienti e forniscono una maggiore varietà di micronutrienti come antiossidanti e vitamine, noti per le loro proprietà benefiche nella promozione della buona salute. La dieta sarda ha un consumo molto più elevato di verdure rispetto al resto dei paesi europei; circa il 12% dell’apporto calorico totale rispetto al 6% e il 2,5% della persona media in Francia e nel resto d’Italia.
La dieta sarda differisce dunque dalla dieta occidentale degli altri paesi europei o dalle diete americane per quanto riguarda il contenuto di macronutrienti. La differenza nella composizione di questi macronutrienti potrebbe aver giocato un ruolo significativo nella longevità della popolazione sarda.
Un consumo più elevato di cereali integrali ha portato a una riduzione del rischio di malattie croniche come malattie cardiovascolari e diabete. Una quantità molto più bassa di zucchero aggiunto riduce ulteriormente il rischio di obesità e diabete abbassando i picchi nei livelli di insulina. Infine, un maggiore consumo di verdure fornisce una quantità aumentata di micronutrienti e antiossidanti, che sono noti per ridurre l’incidenza di cancro, malattia di Alzheimer e rallentare l’invecchiamento cellulare, fattori strettamente legati alla longevità. Pertanto, è essenziale esaminare come il cibo unico del popolo sardo contribuisca a una dieta così sana.
AFFRONTARE L’INVECCHIAMENTO GLOBALE
In conclusione, l’invecchiamento della popolazione in Italia presenta sfide significative, con un aumento dell’aspettativa di vita e una crescente percentuale di anziani, che mette sotto pressione il sistema di welfare. Tuttavia, la longevità italiana, in particolare nelle province come Isernia e Nuoro, offre spunti preziosi.
Le blue zones, come l’Ogliastra in Sardegna, mostrano che fattori come una dieta equilibrata, l’attività fisica integrata nella vita quotidiana, un ambiente familiare e un basso livello di stress sono essenziali per una vita lunga e sana. La dieta sarda, con il suo alto contenuto di cereali integrali e verdure e basso contenuto di zuccheri e carne rossa, rappresenta un modello di salute che potrebbe fornire indicazioni utili per migliorare la qualità della vita e affrontare le sfide dell’invecchiamento a livello globale.