Il dibattito pubblico intorno all’energia nucleare si è recentemente riacceso in Europa, trainato dalle innovazioni tecnologiche nel settore, in particolare i reattori modulari. Attualmente, il nucleare è considerata una net-zero technology a livello europeo: è dunque un valido mezzo per decarbonizzare la produzione di energia elettrica baseload, sostituendo i combustibili fossili per agire in complementarietà con le rinnovabili. In termini di emissioni, l’energia nucleare è una delle fonti energetiche meno impattanti, con un’emissione media di 12 grammi di CO2 equivalente per kWh prodotto. Quaranta volte in meno del gas naturale e al pari dell’eolico ed inferiore anche ai diversi tipi di energia solare.
Secondo dati di EMBER, l’elettronucleare è stata la prima fonte dell’Unione Europea nel 2023, con il 22,9% di elettricità generata. La situazione nei singoli Stati Membri è altamente disomogenea. Con una forte leadership della Francia, dove il nucleare provvede al 65% dell’elettricità prodotta, è una fonte significativa anche in Slovacchia e in Ungheria, mentre negli altri paesi la quota di elettricità generata dai reattori attivi varia dal 19% al 40%. Gli stati europei che intendono mantenere, investire e incrementare la loro capacità nucleare hanno formato l’European Nuclear Alliance. D’altro canto, paesi come Germania, Spagna e Belgio hanno intrapreso (e concluso, nel caso tedesco) il phase-out del vettore. In quanto nazione che non ospita centrali nucleari attive, l’Italia si è posta come osservatrice dell’Alleanza. Oltretutto, il PNIEC ha inserito scenari in cui il mix elettrico sarà coperto in minima parte dal nucleare e gli attori sul mercato sembrano prepararsi per un potenziale riavvio del segmento.
I COSTI
Oltre allo stigma culturale che porta con sé l’opposizione dei territori, il principale ostacolo concreto all’energia nucleare è sempre stato il processo costoso e incerto (sia in termini di tempi che di costi imprevisti) necessario per la costruzione di una centrale. Secondo proiezioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, in un confronto tra i costi di capitale per kW per diverse modalità di generazione di elettricità in Europa, gli impianti nucleari sono di gran lunga la tecnologia più costosa. Questi costi capitali comprendono anche i procedimenti autorizzativi e i dati per l’Europa sono sensibilmente più elevati rispetto ad altre aree del mondo.
La situazione si ribalta parzialmente se si considerano i costi operativi: considerando la somma dei costi operativi e di manutenzione, della C02 (quindi i costi imposti dalla tassonomia europea) e del combustibile, i costi operativi totali delle centrali nucleari nell’UE sono i più bassi tra le tecnologie dispacciabili considerate dall’analisi dell’AIE (gas e carbone), sebbene chiaramente più elevati dei costi delle fonti rinnovabili, eolico off-shore incluso. Nel complesso, considerando il costo totale espresso sul ciclo di vita degli impianti di generazione elettrica (il Levelized Cost of Energy o LCOE), il nucleare figura come l’opzione più conveniente che possa garantire un flusso continuo di energia.
L’ESPOSIZIONE ALLE DIPENDENZE ESTERE
Quale invece l’esposizione del settore alle dipendenze estere? A livello mondiale, l’uranio non è considerato una materia prima scarsa. Sebbene l’UE non possieda alcuna riserva locale di uranio, i giacimenti sono cospicui e distribuiti abbastanza equamente anche tra le nazioni democratiche. I primi quattro Paesi per distribuzione delle riserve di uranio conosciute sono Australia (28%), Kazakistan (13%), Canada (10%) e Russia (8%). L’unica produzione interna nell’UE proviene dalla quantità di uranio e plutonio estratto dal combustibile esaurito negli impianti di riprocessamento. Nel 2023 questa porzione equivaleva al 3,6% del fabbisogno annuale di uranio dell’UE, con la Francia che attualmente è l’unico Stato membro a gestire un impianto di ritrattamento nucleare. Pertanto, il 96,4% dell’uranio naturale consumato nell’UE è importato da Paesi terzi. Nel 2023, l’UE ha ottenuto il 92% delle sue importazioni di uranio da soli 4 Paesi stranieri.
Nonostante il notevole aumento delle importazioni dal Canada, che hanno raggiunto il massimo storico, fra il 2022 e il 2023 la quota di uranio proveniente dalla Russia è passata dal 17% al 23%. La parte derivante dal Kazakistan è diminuita, lasciando la quota totale importata dai due Paesi quasi pari al valore del 2022. Solo nel periodo 2016-2018 l’UE è riuscita a ridurre le forniture da questo blocco orientale, con meno del 40% dell’uranio proveniente dai due paesi.
Per quanto riguarda la catena di approvvigionamento del combustibile, quasi il 70% dei servizi di conversione acquistati dalle utility dell’UE sono stati forniti all’interno dei confini dell’Unione o da Paesi occidentali. I servizi di arricchimento sono meno diversificati di quelli di conversione, ma sono ancora prevalentemente svolti nell’UE. L’ultima fase della fabbricazione del combustibile è più complessa delle fasi precedenti ed è molto più specifica rispetto alle esigenze di progettazione dei reattori. I gruppi di combustibile nucleare sono progettati specificamente per determinati tipi di reattori e sono realizzati secondo standard rigorosi. Il rischio di dipendenza per le utility europee nella fornitura di combustibile riguarda proprio quest’ultima fase, che si conclude con la fabbricazione del combustibile. La dipendenza sussiste per i modelli di reattori VVER, di design Rosatom, per i quali vi è naturalmente una concentrazione di mercato e per i quali l’unico fornitore di combustibile è per natura localizzato in Russia.
CONCLUSIONI
L’UE si è mossa sul piano dell’innovazione tecnologica e sta iniziando a dotarsi di combustibili alternativi e delle strutture necessarie per produrre in territorio interno i combustibili per i reattori VVER, ma visti i lunghi processi autorizzativi per ottenere un prodotto estremamente affidabile e sicuro, almeno per i prossimi anni, la dipendenza dalla Russia per la fase finale del ciclo del combustibile (unicamente per questo tipo di reattori) rimarrà.
La partita sul nucleare in Europa a un livello più alto si giocherà invece sull’efficacia e sulla tempestività nella costruzione dei nuovi reattori, quindi nel limitare l’ingigantimento dei costi di capitale. Per quanto riguarda il futuro del settore in Italia, pesa la difficoltà nel trovare un accordo sui depositi dei rifiuti nucleari e l’incertezza dovuta al quadro giuridico rispetto all’energia nucleare.