Le liste d’attesa rappresentano una delle criticità più pressanti ed attuali del nostro Servizio Sanitario, compromettendo fortemente l’accesso equo alle cure. Tempi lunghi per visite specialistiche, esami diagnostici e interventi chirurgici spingono sempre più cittadini verso il settore privato, creando disparità nell’assistenza. Il rischio è quello di esacerbare sempre più le differenze socio-economiche all’interno del nostro Paese: chi può permetterselo accede rapidamente a visite ed esami, chi non può è invece costretto ad aspettare.
IL PROBLEMA DELLE LISTE D’ATTESA: DATI E NUMERI
Secondo il Ministero della Salute nel 2023 l’attesa media per una visita specialistica nel SSN ha superato i 4 mesi, mentre per esami diagnostici come risonanza magnetica e TAC può arrivare anche a 12 mesi. Per interventi chirurgici, come la protesi d’anca o la cataratta, in molte regioni bisogna aspettare oltre un anno.
Di fronte a questi ritardi, molti cittadini si rivolgono al privato. Un’indagine ISTAT rivela che il 35% degli italiani ha pagato di tasca propria una visita per evitare lunghi tempi di attesa, mentre il 20% ha rinunciato del tutto alle cure a causa dei costi elevati. Inoltre, il 40% delle richieste di visite specialistiche viene fissato oltre i limiti previsti dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), aggravando il problema della tempestività nelle cure.
L’impatto di queste tempistiche è ancora più evidente quando ci si confronta con patologie gravi. Per esempio, il tempo medio necessario per una visita oncologica può arrivare a 60 giorni, un ritardo che può compromettere la diagnosi precoce e la possibilità di trattamenti tempestivi ed efficaci. Anche per esami cardiologici, fondamentali per la prevenzione degli infarti, i tempi da attendere possono superare i 90 giorni, con conseguenze potenzialmente fatali.
LE CAUSE STRUTTURALI
Uno dei principali fattori che contribuiscono all’allungamento delle liste d’attesa è la carenza di personale medico e infermieristico. Il blocco del turnover e i pensionamenti hanno drasticamente ridotto il numero di specialisti disponibili, limitando l’offerta di servizi sanitari pubblici. Come emerge dai dati ISS, in Italia il rapporto è di 4,1 medici ogni 1.000 abitanti ma molti di loro sono prossimi alla pensione e la formazione di nuovi specialisti non sta tenendo il passo con le esigenze del sistema. Si stima che entro il 2025 circa 50.000 medici lasceranno il servizio sanitario, aggravando ulteriormente una situazione già critica.
A complicare ulteriormente il quadro vi è il sottofinanziamento della sanità, con l’Italia che investe circa il 6,2% del PIL nel settore, un valore inferiore sia alla media OCSE del 6,9% che a quella europea del 6,8%. Questo divario ha limitato l’espansione dei servizi e il miglioramento dell’efficienza ospedaliera. Il finanziamento pro capite in Italia si attesta attorno ai 3.000 euro l’anno, mentre in Germania supera i 5.000 euro, dimostrando una significativa disparità di risorse. Anche la Francia offre una copertura sanitaria superiore, con un rapporto medico-paziente più favorevole e una capacità di risposta più rapida alle esigenze della popolazione.
Un altro elemento determinante è la disparità regionale e organizzativa che caratterizza il sistema sanitario italiano. Le liste d’attesa variano enormemente tra le diverse aree del Paese. Nel Nord l’accesso alle prestazioni sanitarie è generalmente più rapido rispetto al Sud, dove i servizi risultano spesso sovraccaricati e sottofinanziati. In Campania e Calabria, ad esempio, il tempo di attesa per una risonanza magnetica può superare i 14 mesi, mentre in Lombardia difficilmente oltrepassa i 3 mesi. Questa differenza è accentuata dalla carenza di strutture tecnologicamente moderne e dall’insufficiente digitalizzazione dei servizi sanitari, che potrebbe invece migliorare la gestione delle prenotazioni e ottimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili.
Infine, un ulteriore fattore che incide sull’allungamento delle attese è l’elevato numero di prescrizioni inappropriate. Ne è un esempio la medicina difensiva, adottata dai medici per ridurre il rischio di contenziosi legali. Questa porta a una quantità maggiore di richieste di esami e visite, sovraccaricando il sistema con prestazioni non strettamente necessarie. Secondo il Ministero della Salute una buona parte degli esami diagnostici effettuati potrebbe essere evitato, liberando risorse per chi ne ha effettivamente bisogno. Una gestione più rigorosa delle prescrizioni potrebbe ridurre i tempi di attesa fino al 30%, migliorando l’efficienza complessiva del sistema sanitario.
LA PIATTAFORMA NAZIONALE LISTE D’ATTESA
Per migliorare la situazione il Ministero della Salute ha approvato la Piattaforma Nazionale delle Liste d’Attesa (PNLA), gestita da Agenas. Questo sistema consentirà un monitoraggio più trasparente e centralizzato dei tempi di attesa nelle diverse regioni.
I principali obiettivi della piattaforma includono:
- Accesso in tempo reale ai tempi di attesa per migliorare la pianificazione delle visite da parte dei cittadini.
- Ottimizzazione delle risorse sanitarie per ridurre sprechi e inefficienze.
- Maggior trasparenza nella gestione degli appuntamenti, evitando disuguaglianze regionali.
Tuttavia, la reale efficacia di questa iniziativa dipenderà dalla capacità delle regioni di adattare i propri sistemi e dalla disponibilità di risorse per potenziare l’offerta sanitaria.
COME RIDURRE I TEMPI DI ATTESA: POSSIBILI SOLUZIONI
Affrontare questa crisi richiede una combinazione di strategie strutturali e interventi immediati. Un primo passo fondamentale riguarda l’aumento del personale sanitario, con assunzioni mirate e condizioni di lavoro più attrattive che potrebbero ridurre il deficit di medici e infermieri. Al tempo stesso è essenziale puntare sulla digitalizzazione e sull’ottimizzazione delle risorse: l’integrazione di strumenti digitali per la gestione delle prenotazioni può contribuire ad aumentare l’efficienza del sistema, evitando ritardi evitabili.
Parallelamente, è necessario potenziare il sistema sanitario pubblico attraverso investimenti mirati per ampliare gli orari di apertura degli ambulatori e incrementare le ore di specialistica, alleviando così la pressione sulle strutture esistenti. In questa direzione, una maggiore collaborazione tra pubblico e privato potrebbe offrire una soluzione temporanea per ridurre le attese più lunghe, attraverso convenzioni con strutture private che permettano di distribuire meglio la domanda di prestazioni.
Un’altra leva strategica riguarda la gestione delle prescrizioni mediche: l’adozione di protocolli più rigorosi potrebbe limitare le richieste inutili, ottimizzando l’impiego delle risorse disponibili. Infine, per garantire un miglioramento continuo, sarebbe opportuno introdurre un sistema di monitoraggio delle performance regionali, premiando le realtà più efficienti e intervenendo su quelle con maggiori criticità, incentivando così una gestione più efficace delle risorse sanitarie.
Le liste d’attesa rappresentano uno dei problemi più urgenti del SSN, con un impatto significativo sulla salute dei cittadini e sulla percezione di efficienza del sistema pubblico. Se non affrontato con misure concrete e strutturali, il fenomeno rischia di rafforzare la dipendenza dal settore privato e di amplificare le disuguaglianze nell’accesso alle cure.
Per garantire un servizio sanitario equo e universale è necessario un piano di investimenti a lungo termine, accompagnato da un miglioramento dell’efficienza gestionale e organizzativa. Solo così sarà possibile trasformare il diritto alla salute in una realtà accessibile per tutti.