Il 2 aprile, giornata rinominata da Donald Trump “Liberation Day”, sono stati rivelati i dazi che il presidente degli Stati Uniti intende applicare sulle importazioni verso gli USA.
In aggiunta a un’imposta universale del 10% a quasi tutte le importazioni statunitensi, l’amministrazione ha annunciato dazi definiti “reciproci”. Si tratta di una strategia che colpisce 57 paesi in base alle asimmetrie della bilancia commerciale bilaterale. La soglia di dazi per ogni paese è stata calcolata con una formula che identifica l’aliquota da imporre come il rapporto tra il deficit commerciale degli Stati Uniti con un dato paese e le importazioni degli Stati Uniti dallo stesso paese. Per attenuare l’impatto, il risultato viene poi dimezzato, producendo quella che è stata definita una “imposta reciproca scontata”. Secondo il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d’America (United States Trade Representative, USTR), deficit da sanare in modo “reciproco” è quindi individuato in quanto risultato di specifiche pratiche commerciali da parte dei paesi partner che causerebbero squilibri strutturali. In questo consiste la reciprocità dei dazi imposti dall’amministrazione Trump, come illustrato dalla Figura 1: in particolare, l’Unione Europea (UE) sconta dazi al 20%, la Cina al 34%, ma paesi come il Vietnam (46%), la Cambogia (49%), il Bangladesh (37%) e Thailandia (37%) si vedono imposti i tassi più alti.

Figura 1: Dazi americani applicati ai diversi Paesi

Fonte: Elaborazioni I-Com su dati Federal Register USA

Con una repentina inversione di marcia, il presidente ha poi però dichiarato di voler autorizzare una pausa di 90 giorni sui dazi per i paesi che non hanno effettuato ritorsioni. Queste recenti dichiarazioni, che hanno fatto seguito a un impetuoso periodo di volatilità dei mercati finanziari, hanno provocato dei decisi rimbalzi nelle Borse globali. D’altra parte, la guerra dei dazi contro la Cina è stata ulteriormente inasprita, e sembra confermare una traiettoria geopolitica aggressiva che scavalca la sola dimensione commerciale.

Al di là delle motivazioni politiche e fiscali interne americane che hanno mosso a implementare questa drastica strategia commerciale, l’ordine esecutivo firmato dal presidente sottolinea infatti una dimensione cruciale, legando i deficit commerciali ai rischi per la sicurezza nazionale. In particolare, Trump cita i persistenti disavanzi commerciali annuali degli Stati Uniti come causa della riduzione della base manifatturiera americana, mettendo a repentaglio le catene di approvvigionamento critiche e lasciando la base industriale di difesa dipendente da fornitori esteri. La sicurezza energetica e delle supply chains globali rimane quindi centrale nelle strategie commerciali.

Significativamente, infatti, i documenti ufficiali citavano importanti eccezioni ai dazi, che indica una consapevolezza da parte dell’esecutivo per la protezione delle filiere critiche. In particolare, la lista dei prodotti colpiti ha subito dei ritagli strategici per quanto riguarda semiconduttori, prodotti farmaceutici, rame, legname e finanche materiali energetici non disponibili negli USA, valutati separatamente e non cumulati con i nuovi dazi. Ci sono inoltre esenzioni per quanto riguarda i prodotti della sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, ovvero alluminio e acciaio, poiché già colpiti dai dazi al 25% imposti il 12 marzo.

LA PROSPETTIVA EUROPEA

L’Unione europea, tra i principali partner commerciali degli Stati Uniti, si è trovata a un bivio. Da una parte, infatti, la Commissione europea aveva offerto agli Stati Uniti un accordo per rimuovere i dazi su tutti i beni industriali nell’ambito dei negoziati commerciali. Gli Stati membri dell’UE hanno poi votato a favore della proposta della Commissione europea di introdurre contromisure commerciali nei confronti degli Stati Uniti, seguendo le dichiarazioni da parte della presidente della Commissione Ursula von der Leyen che aveva sottolineato l’intenzione di implementare una ritorsione contro le politiche di dazi di Donald Trump in caso di fallimento dei colloqui. La decisione rispondeva ai dazi americani del 25% imposti sulle importazioni di acciaio e alluminio dall’UE: in totale, sarebbero colpiti oltre 380 miliardi di euro di prodotti fabbricati nell’UE.

L’economia europea e statunitense sono altamente integrate. Sia le esportazioni che le importazioni dagli Stati Uniti sono incrementate notevolmente tra gennaio 2023 e dicembre 2024. Le esportazioni sono passate da 39,8 miliardi di euro nel gennaio 2023 a 45,4 miliardi di euro nel dicembre 2024 (Figura 2). Le importazioni dagli Stati Uniti sono state pari a 31,3 miliardi di euro nel gennaio 2023 e sono scese a 27,5 miliardi di euro nel dicembre 2024. Nel gennaio 2023 l’avanzo commerciale era di 8,4 miliardi di euro, ha raggiunto un picco di 18,9 miliardi di euro nel giugno 2024 e si è attestato a 17,9 miliardi di euro nel dicembre 2024.

Figura 2: Bilancia commerciale del commercio di beni Unione Europea – Stati Uniti, 2014-2024

Fonte: Elaborazioni I-Com su dati Eurostat

Ma l’entrata in vigore dei dazi potrebbe avere ulteriori effetti collaterali: viste le aliquote altissime per molti stati asiatici, Bruxelles teme un riorientamento delle esportazioni cinesi dagli Stati Uniti verso l’UE. L’eccesso di capacità produttiva di queste economie, dati gli importanti ostacoli all’ingresso del mercato americano, potrebbe essere reindirizzato sul versante europeo. A preoccupare particolarmente è il caso cinese, che subisce dagli USA dazi che lievitano di giorno in giorno, passando dal 54% al 104% al 145%.  L’acciaio cinese sarà probabilmente uno dei prodotti in eccesso che si riverserà sul mercato dell’UE, aggravando la situazione del mercato internazionale che già stime OCSE vedevano in sofferenza: si prevede una crescita della capacità siderurgica in eccesso a livello mondiale da 602 milioni di tonnellate nel 2024 a 721 entro il 2027.

In aggiunta, altri prodotti cinesi potrebbero essere riorientati verso la rotta commerciale europea: si tratta di dispositivi elettronici e tecnologie per le energie rinnovabili, come i pannelli solari, che già occupavano da soli un enorme 98% delle importazioni UE nel 2023. A premere sulle frontiere europee si erano già accumulati i veicoli elettrici cinesi, a loro volta colpiti dai dazi antisovvenzione europei decisi a novembre 2024.

LE CONTROMOSSE CINESI E LE CONSEGUENZE SUI MERCATI ENERGETICI

Se Pechino soffre tassi di dazi che dal 54% sono balzati al 145%, ha d’altro canto reagito in rappresaglia contro Washington, annunciando dazi all’84% su importazioni di prodotti statunitensi.

Ma la manovra più strategica riguarda le restrizioni delle esportazioni cinesi su alcuni prodotti contenenti terre rare, tra cui samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio, ittrio, nonché le relative tecnologie.

La contromossa cinese, conscia del controllo esercitato sulle filiere di terre rare e sul monopolio pressocché assoluto della loro lavorazione, punta precisamente a usare i materiali come leva geopolitica nella guerra commerciale, minacciando di stringere il collo di bottiglia nella catena di approvvigionamento di queste risorse. I prodotti soggetti a queste misure di controllo delle esportazioni sono considerati infatti materiali chiave per applicazioni industriali e di difesa (ad esempio, tungsteno e molibdeno), per la produzione di celle solari (tellurio), per l’industria dei semiconduttori (indio) e per l’elettronica di consumo (ittrio).

Per quanto riguarda i mercati di altre commodities energetiche, il Brent, benchmark per i prezzi del petrolio, sta scontando le turbolenze politiche e commerciali globali. Dal 2 aprile il Brent ha perso oltre il 19% del suo valore, pressato da una combinazione di indebolimento delle prospettive di domanda e aumento dei livelli di produzione. Il prezzo del Brent è sceso drasticamente dai 73 dollari al barile del 2 aprile fino ai 63 del 10 aprile: grava la debolezza della domanda, alimentata dall’intensificarsi della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, primo importatore di petrolio al mondo. Il prezzo del petrolio è stato ulteriormente spinto al ribasso dalla decisione dell’OPEC+ del 3 aprile di aumentare significativamente la produzione di maggio a 411 migliaia di barili al giorno, pari a tre incrementi mensili, lasciando il mercato più rifornito nel periodo aprile-giugno.

CONCLUSIONI

La controversa strategia commerciale statunitense, oltre a stravolgere i mercati finanziari, sta causando una reazione a catena che coinvolge le filiere energetiche mondiali. Le recenti misure introdotte da Trump stanno contribuendo a un clima di crescente incertezza nei mercati globali, inclusi quelli energetici. Non sembra possibile misurare con precisione l’impatto di queste politiche estremamente volubili e utilizzate come strumento di pressione commerciale, che sono ugualmente suscettibili di essere vertiginosamente incrementate o diminuite nell’arco di pochi giorni.

Si osservano quindi segnali di volatilità e preoccupazione tra gli investitori; nel panorama energetico non mancano d’altronde possibilità di ritorsione da parte di attori che possono esercitare leve strategiche importanti: le restrizioni alle esportazioni di terre rare, così come la discesa brusca del Brent, segnalano le significative alterazioni di cui possono soffrire gli equilibri nelle catene di fornitura di energie e tecnologie strategiche.

Questo scambio di pressioni commerciali rischia di alimentare una fase di instabilità, in cui le implicazioni economiche e geopolitiche rimangono aperte e in continua evoluzione.