L’obesità è diventata una delle emergenze sanitarie globali più rilevanti, con numeri in crescita in tutte le fasce d’età. In Italia, nonostante il riferimento culturale alla dieta mediterranea, i dati mostrano abitudini alimentari scorrette e una diffusa sedentarietà. Inoltre, le disuguaglianze sociali e territoriali aggravano il fenomeno, rendendo urgente un approccio sistemico alla prevenzione.
Parlare di stili di vita significa spesso evocare immagini di comportamenti individuali virtuosi o trasgressivi. Ma quando si guarda con attenzione all’alimentazione (una delle componenti più rilevanti della prevenzione primaria) emerge un quadro complesso, fatto di abitudini radicate, disparità sociali e responsabilità collettive.
ALIMENTAZIONE E OBESITÀ
In Italia, nonostante la retorica della dieta mediterranea, il consumo quotidiano di alimenti protettivi come frutta e verdura rimane sorprendentemente basso, già a partire dalla prima infanzia. Nella popolazione adulta, ad esempio, le abitudini alimentari risultano inadeguate rispetto alle raccomandazioni dell’OMS, che suggeriscono il consumo di almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno: secondo Eurostat (2023), solo il 12% degli adulti italiani raggiunge questo obiettivo quotidiano, un dato inferiore alla media UE (14%) e ben lontano dai livelli di Paesi come Germania (21%) o Francia (18%).
Ma non solo, il 26% dei bambini tra 8 e 9 anni non consuma frutta o verdura tutti i giorni, mentre oltre due su tre (66%) consumano quotidianamente snack ad alta densità energetica come merendine o patatine. Le differenze territoriali sono marcate: in alcune Regioni, la quota di bambini che consuma frutta ogni giorno non supera il 60%, con ricadute significative in termini di rischio obesità, nonché una maggiore esposizione ad altri rischi per la salute.
Ancor più evidenti risultano le disparità territoriali riguardo la prevalenza di sovrappeso e obesità tra i bambini di 8-9 anni. Le mappe regionali mostrano con chiarezza un gradiente geografico netto: le Regioni del Sud registrano le percentuali più elevate, mentre le Regioni del Nord e alcune aree del Centro si collocano su valori significativamente più contenuti. In Campania, ad esempio, oltre il 44% dei bambini risulta in eccesso ponderale (22,3% sovrappeso e 21,7% obesi), un dato allarmante che riflette uno squilibrio non solo nutrizionale, ma anche sociale ed educativo.
Le differenze sono così marcate da far emergere una vera e propria frattura epidemiologica lungo la Penisola: nelle Regioni meridionali e insulari, i tassi di obesità infantile superano spesso il 14%, mentre nelle Regioni settentrionali raramente oltrepassano il 10%. A livello macroregionale, la prevalenza complessiva di sovrappeso e obesità si attesta al 37% nel Sud e isole, contro il 31% al Centro e valori ancora inferiori nel Nord. Questo scarto non può essere spiegato esclusivamente da fattori individuali, ma richiama il ruolo dei determinanti sociali della salute: reddito familiare, livello di istruzione dei genitori, accesso a spazi sicuri per l’attività fisica, qualità e prezzo degli alimenti. L’alimentazione, in questo scenario, si conferma come una causa e non solo una conseguenza di disuguaglianza, incidendo precocemente sulle traiettorie di salute, con effetti a lungo termine sull’insorgenza di malattie croniche e sulla sostenibilità del sistema sanitario.
Popolazione di 8 e 9 anni in sovrappeso o affetta da obesità per Regione (%, 2023) – Fonte: Elaborazione I-Com su dati ISS
COLAZIONE ED ECCESSO PONDERALE
Tra le variabili comportamentali più trascurate nei dibattiti pubblici c’è l’abitudine a fare colazione. Eppure, i dati suggeriscono un legame evidente tra il salto del primo pasto della giornata e l’eccesso ponderale già in età scolare. Si evidenzia una correlazione statisticamente significativa tra la percentuale di bambini che saltano la colazione e la prevalenza di sovrappeso o obesità a livello regionale. La tendenza appare chiara: all’aumentare della quota di bambini che non fanno colazione, cresce anche la percentuale di coloro che risultano in eccesso ponderale. Regioni come Campania e Calabria, dove rispettivamente il 7% e l’8% dei bambini salta la colazione, registrano tassi di sovrappeso/obesità superiori al 37%. Al contrario, le Regioni con percentuali più basse di omissione del primo pasto – come Trentino-Alto Adige o Friuli Venezia Giulia – mostrano anche livelli sensibilmente inferiori di eccesso ponderale.
Pur trattandosi di una correlazione e non di un rapporto causale, il dato è indicativo di una più ampia fragilità del contesto educativo e nutrizionale. Saltare la colazione può essere un segnale di routine alimentari disordinate, mancanza di attenzione familiare o difficoltà socioeconomiche. Per questo motivo, promuovere l’abitudine a una colazione regolare e nutriente può rappresentare un intervento di prevenzione primaria a basso costo e ad alta efficacia, soprattutto se attuato nelle scuole in collaborazione con famiglie e servizi territoriali.
Correlazione tra bambini che non fanno colazione e prevalenza di sovrappeso o obesità (2023) – Elaborazione I-Com su dati ISS
Questo dato suggerisce quanto anche abitudini apparentemente minori, come l’omissione della colazione, siano in realtà indicatori significativi di stili di vita disfunzionali, spesso legati a contesti familiari e sociali svantaggiati. In quest’ottica, la prevenzione del sovrappeso infantile non può prescindere da interventi che promuovano l’educazione alimentare già nei primi anni di vita, anche attraverso programmi scolastici e azioni coordinate con le famiglie.
Osservando i dati relativi al sovrappeso e all’obesità nella popolazione in generale, dal 2000 al 2023, si osserva un aumento marcato per entrambi gli indicatori. L’aumento costante della percentuale di popolazione in sovrappeso e obesa negli ultimi due decenni riflette il cambiamento delle abitudini alimentari e la crescente diffusione di stili di vita sedentari. Difatti, la popolazione in sovrappeso nell’ultimo ventennio è cresciuta del 17%.
Ma a destare ancora più preoccupazione è l’incremento del 33% nella quota di popolazione affetta da obesità: l’obesità riguarda infatti oggi oltre 6 milioni di italiani adulti, circa 500.000 dei quali versano in stato critiche . Questi dati rappresentano un forte segnale d’allarme per il sistema sanitario, poiché, entrambe le condizioni, ma in particolare l’obesità, sono strettamente correlate a un maggior rischio di sviluppare patologie croniche come il diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari.
Popolazione in sovrappeso e affetta da obesità – Elaborazione I-Com su dati ISS
Inoltre, la crescente prevalenza di obesità ha un forte impatto anche sulle casse dello Stato: difatti, i costi dell’obesità ammontano a circa l’1% del PIL nazionale. Di questa cifra, i costi sanitari diretti rappresentano il 59% del totale (5% della spesa sanitaria complessiva) e sono principalmente attribuibili alle malattie cardiovascolari (84% della spesa sanitaria totale), diabete (8%), tumori (4%) e chirurgia bariatrica (3%). Gravano tuttavia anche i costi indiretti, riconducibili nel 52% a casi di presenteeism (presenza sul luogo di lavoro in condizioni compromesse dalla patologia) e nel 48% all’assenza dal lavoro. Difatti, la probabilità che la salute incida sul lavoro e sulla frequenza al lavoro durante la malattia è del 58% per le persone con obesità contro il 43% per le persone con BMI sano (a parità di altre condizioni). Inoltre, si stima che la sola obesità infantile, se non contrastata, porterà ad una spesa aggiuntiva annua per il SSN di oltre €400 milioni.
SEDENTARIETÀ E ATTIVITÀ FISICA
Strettamente legato alle condizioni fisiche, è anche la sedentarietà e la più generale mancanza di attività fisica, un secondo elemento che determina lo stato di salute di una popolazione. Come per le analisi precedenti, anche i dati sulla sedentarietà e sulle patologie croniche non sono rassicuranti: nell’arco di vent’anni, la percentuale di popolazione fisicamente inattiva è aumentata, registrando una crescita del 22%.
Secondo rilevazioni dell’OCSE e dell’OMS, l’Italia si posiziona come quinto Paese UE più sedentario, con l’81% della popolazione che non raggiunge adeguati livelli di attività fisica (150 minuti settimanali), un dato superiore alla media UE del 68%. Inoltre, secondo i dati Eurostat, solo l’8,5% delle persone adulte in Italia svolge attività fisica per 60 o più minuti al giorno (valori linee guida OMS) confermando anche in questo caso uno dei dati peggiori a livello continentale (media UE-27 del 12,7%).
Altrettanto preoccupanti sono le tendenze alla sedentarietà registrate tra i bambini e gli adolescenti. Secondo gli ultimi dati 2021, l’Italia occupa la peggiore posizione tra gli Stati OCSE con il 91,7% delle persone tra i 11 e i 15 anni che non raggiunge i 60 minuti giornalieri, un dato ben superiore alla già elevata media OCSE (81%).
La mancanza di attività fisica è un fattore chiave nell’insorgenza di numerose patologie metaboliche e il suo impatto si riflette chiaramente nell’incremento dei casi di diabete di tipo 2 e ipertensione arteriosa. La prevalenza del diabete di tipo 2 ha infatti subito un aumento significativo, evidenziando ancora una volta la correlazione tra sedentarietà, abitudini alimentari scorrette e rischio metabolico. Anche l’ipertensione arteriosa segue un trend simile, con una crescita del 40% dal 2000 che indica la necessità di rafforzare i programmi di prevenzione e controllo.
Popolazione sedentaria e prevalenza di diabete di tipo 2 e ipertensione arteriosa – Elaborazione I-Com su dati ISS

Ad oggi, tuttavia, nel nostro paese l’attenzione alla pratica sportiva resta bassa e restano diversi nodi da sciogliere. In primis, la carenza di strutture adeguate e accessibili, in quanto ben il 54% delle scuole non dispone di palestre idonee a svolgere attività sportiva, con la gran parte degli istituti carenti che hanno sede al sud.
Eppure, l’attenzione sull’attività motoria a scuola risulterebbe fondamentale non solo per la salute, ma anche per la sostenibilità del SSN: per ogni euro investito nello sport scolastico genera risparmi per €2-3 in costi sanitari diretti e indiretti a lungo termine. Anche uno studio dell’OECD evidenzia l’impatto positivo di programmi di educazione alimentare e di promozione dell’attività fisica nelle scuole: questi potrebbero infatti ridurre il numero di nuovi casi di diabete del 25% entro il 2030, che si tradurrebbe in un risparmio annuo di oltre €2 miliardi solo per il SSN italiano. Un altro esempio emblematico di potenziale risparmio è dato dalla gestione delle malattie cardiovascolari, che contribuiscono al 31% di tutti i decessi nel 2022. Difatti, è stato calcolato che un +2% negli investimenti in programmi di prevenzione delle malattie cardiovascolari (promuovendo corretti stili di vita, aumentando l’accesso agli screening e migliorando l’aderenza alle terapie preventive) potrebbe ridurre il peso economico della malattia fino al 10% nei successivi dieci anni.
Questi dati confermano l’importanza di strategie sanitarie integrate, in grado di promuovere uno stile di vita attivo e una maggiore consapevolezza sui rischi legati alla scarsa attività fisica e alle cattive abitudini alimentari.
CONCLUSIONI
La Commissione parlamentare per l’Infanzia e l’adolescenza propone di riconoscere l’obesità come malattia cronica non trasmissibile e di inserirla nei Livelli essenziali di assistenza, per garantire cure e prevenzione uniformi su scala nazionale. Tra le raccomandazioni chiave figurano il potenziamento dei fondi dedicati e la possibilità per medici e pediatri di prescrivere attività fisica come terapia. Il disegno di legge in discussione prevede inoltre programmi nazionali di prevenzione e azioni mirate per i minori in condizioni di povertà, puntando su sport e corretta alimentazione. Questo si unisce anche al fondo per la prevenzione e la cura dell’obesità di cui €1,2 milioni di euro per il 2025, €1,3 milioni per il 2026 e €1,7 milioni a partire dal 2027, con l’obiettivo di finanziare interventi concreti per contrastare e prevenire l’obesità.
La prevenzione si conferma l’arma più efficace per contrastare l’obesità, ridurre le disuguaglianze e alleggerire il carico sul sistema sanitario. Agire precocemente, attraverso educazione alimentare, promozione dell’attività fisica e interventi mirati già dall’infanzia, consente di interrompere sul nascere traiettorie di rischio.