Lo split payment tra liquidità per le imprese e recupero dell’evasione dell’IVA


Articolo blog
Michele MASULLI

A partire da gennaio 2015, a intervenire nei rapporti tra imprese e Pubblica Amministrazione, è sopraggiunto il regime dello “split payment”, o “scissione dei pagamenti”. Per fare il punto, dopo quasi tre anni dall’introduzione di questa misura, Banca Farmafactoring e I-Com, Istituto per la Competitività, hanno promosso in data 3 ottobre, a Roma, all’interno della P.A. Conference, il convegno “Rivoluzione Split Payment. L’impatto su imprese e P.A. e sulle relazioni pubblico-privato”. La ratio della scissione dei pagamenti si deve alla necessità di ridurre l’evasione dell’IVA nei rapporti con la pubblica amministrazione.

È sull’imposta sul consumo, infatti, che si verifica gran parte dell’evasione. Lo conferma il rapporto annuale sul VAT Gap nell’UE promosso dalla Commissione Europea; il VAT Gap, calcolato come la differenza tra il gettito atteso dell’IVA e quello realmente riscosso, può essere considerato una misura dell’entità del fenomeno dell’evasione dell’IVA e dell’efficacia della sua applicazione. L’Italia figura come il primo Stato per VAT Gap in valore assoluto, pari a 35.093 milioni di euro, che da soli rappresentano più di un quinto del VAT Gap complessivo europeo (151.530 milioni di euro). In valori percentuali, inoltre, il Belpaese si posiziona come 5° Paese per VAT Gap nell’UE a 27, prima della Polonia e dopo la Lituania, con un dato pari al 25,78%.

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Sotto la disciplina dello split payment, i fornitori continuano ad addebitare l’IVA sui beni e servizi forniti alla Pubblica Amministrazione italiana, mentre quest’ultima scinde il pagamento in due parti: paga il corrispettivo della prestazione al fornitore e versa l’IVA su un apposito conto corrente del Ministero del Tesoro. Per Pubblica Amministrazione si intende lo Stato e gli altri soggetti qualificabili come organi dello Stato, anche se dotati di autonomia giuridica (dagli Enti pubblici territoriali alle Camere di Commercio, dalle Università alle ASL). Inoltre, la Manovra Correttiva 2017 ha disposto l’estensione dello split payment dal 1 luglio alle società controllate da tutti i livelli di governo e alle società quotate nell’indice FTSE MIB.

Nel 2015 e nel 2016, cioè nel periodo di applicazione della nuova disciplina, si è registrato rispetto al 2014, un aumento del gettito dell’IVA (+8,8% tra il 2014 e il 2016) ed, in particolare, una crescita della componente “scambi interni”, che contiene quanto riscosso in split payment. Al contrario, l’altra componente dell’IVA, quella sulle importazioni, è diminuita progressivamente (-12,9%). Nello specifico, l’introduzione dello split payment sembra aver rispettato le aspettative del MEF, producendo un aumento dell’entrate dell’IVA pari a 1 miliardo di euro. Tuttavia, nonostante il successo sul fronte della crescita del gettito, permangono problemi da parte del mondo delle imprese; queste, infatti, a causa del regime di scissione dei pagamenti si trovano a essere sottoposte a una posizione di credito permanente per quanto riguarda l’IVA sulle operazioni effettuate nei confronti degli enti pubblici e a una importante restrizione di liquidità. L’impresa che deve applicare lo split payment continua a finanziare a breve i propri fornitori, ma non è più finanziata dai propri clienti (la PA), dal momento che questi non riconoscono più il tributo. La CNA ha valutato in quasi 3 mld di euro l’ammontare di IVA che non verrà più incassata dalle imprese; un valore che comporterebbe 800€ mensili di carenza di liquidità per ogni impresa che ha rapporti con la P.A. Confindustria dichiara che “lo Split Payment determina un finanziamento a tasso zero allo Stato da parte delle imprese, privando queste ultime, seppur temporaneamente, di una vitale liquidità”. Quest’aggravio per le imprese interviene su un ecosistema italiano che vede permanere criticità evidenti per l’iniziativa privata. Basti pensare che, secondo il Doing Business Report 2017, l’Italia è seconda per pressione fiscale sulle imprese nell’UE a 28, con un total tax rate pari a 62%, e che, oltre alla scissione dei pagamenti, nel 2015 è stato introdotto anche il “reverse charge”, valido per alcune tipologie di servizi, che crea anch’esso una posizione di credito permanente a carico delle imprese. Per non considerare, poi, il ritardo dei pagamenti da parte dalla PA. Si richiedono, pertanto, misure volte a limitare l’impatto negativo dello split payment sulla finanza d’impresa.

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Ricopre attualmente il ruolo di Direttore dell’area Energia presso l’Istituto per la Competitività (I-Com), dove è stato Research Fellow a partire dal 2017. Laureato in Economia e politica economica presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, successivamente ha conseguito un master in “Export management e sviluppo di progetti internazionali” presso la Business School del Sole24Ore. Attualmente è dottorando di Economia applicata presso il Dipartimento di Economia dell'Università degli Studi di Roma Tre. Si occupa principalmente di scenari energetici e politiche di sviluppo sostenibile, oltre che di politiche industriali e internazionalizzazione di impresa.

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