E’ il Veneto la regione italiana che garantisce ai propri cittadini i livelli essenziali di assistenza (Lea) più alti del nostro Paese. In attesa della pubblicazione della graduatoria definitiva e dettagliata, a diffondere qualche anticipazione sulla classifica attualmente sottoposta al vaglio del Comitato Lea è stato il Il Sole 24 Ore in questo articolo. Con un totale di 222 punti ottenuti nel 2018, la regione ha guadagnato il primato in Italia e ha registrato un miglioramento di 4 punti rispetto all’anno precedente. Al secondo gradino del podio, l’Emilia Romagna, che conferma la posizione del 2017 mentre la medaglia di bronzo va alla Toscana, che ha visto passare il suo punteggio da 216 nel 2017 al 220 nel 2018.
Dalla classifica, che mira a valutare la qualità dei servizi sanitari regionali, emerge come le regioni del Centro Nord abbiano registrato performance migliori rispetto al Sud del Paese. Nello specifico, subito dopo il podio, ci sono il Piemonte, che con 218 punti ha abbandonato la prima posizione in graduatoria conquistata nel 2017, la Lombardia e la Liguria, con un punteggio di rispettivamente 215 e 211. Il Lazio, invece, ha guadagnato l’undicesimo posto, con un miglioramento di ben dieci punti rispetto all’anno precedente.
All’estremo opposto, anche quest’anno ci sono la Campania e la Calabria che chiudono la classifica con 170 e 162 punti. Nonostante occupino le posizioni di coda, sono proprio le regioni meridionali ad aver registrato i miglioramenti più evidenti. Basti pensare che nel caso della prima, uscita dal commissariamento, lo stacco rispetto all’anno precedente è di 17 punti mentre la qualità della sanità calabrese è aumentata di 26. E’ un risultato importante, nonostante tutto. I punteggi ottenuti, che si attestano oltre la soglia minima di 160, permettono a tutte le regioni, anche quelle meno performanti, di scongiurare l’intervento del ministero.
Ma su quali elementi è valutata la qualità delle prestazioni sanitarie in Italia? Fino a oggi l’elaborazione della graduatoria si è basata su trentatré indicatori, raggruppati in tre grandi aree: prevenzione collettiva e sanità pubblica, che comprende tutte le attività di prevenzione rivolte alle collettività e ai singoli, assistenza distrettuale, ossia le attività e i servizi sanitari e socio-sanitari diffusi sul territorio, e assistenza ospedaliera, ovvero tutte le attività e i servizi offerti nelle strutture sanitarie. Dopo un’attenta analisi della situazione di ogni singola regione (sono coinvolte nella valutazione solo quelle a statuto ordinario e la Sicilia), viene attribuito un punteggio che va da un minimo di -25 a un massimo di 225.
Ma i criteri di valutazione sono in procinto di essere cambiati. Dopo l’accordo raggiunto tra Stato e regioni sul nuovo Patto per la Salute 2019-2021 (qui un articolo di Eleonora Mazzoni sul tema) lo scorso dicembre 2019, a partire dal 1 gennaio 2020 si applica un nuovo meccanismo, il cosiddetto Nuovo sistema di garanzia (Nsg) che permetterà di procedere a una valutazione più accurata grazie all’utilizzo di ben ottantotto indicatori. Nello specifico, sedici sono dedicati alla prevenzione collettiva e alla sanità pubblica, trentatré all’assistenza distrettuale, ventiquattro a quella ospedaliera e quattro si riferiscono al contesto per la stima del bisogno sanitario. E ancora, uno che considera l’equità sociale e dieci per il monitoraggio e la valutazione dei percorsi diagnostico terapeutici assistenziali. Oltre a garantire una valutazione più precisa, il nuovo sistema ha lo scopo di potenziare il meccanismo di monitoraggio da parte dello stesso ministero, facendo scattare la procedura di commissariamento solo in casi di estrema necessità (un punteggio al di sotto della soglia in tutte e tre le macro aree).