Con la fine del lockdown e la riapertura delle frontiere in Europa, cresce la voglia di dichiarare la crisi superata. E tuttavia, siamo appena piombati nella peggiore recessione dalla Seconda guerra mondiale. Le conseguenze economiche della pandemia da Covid-19 potranno essere apprezzate nella loro interezza soltanto nel medio-lungo periodo, esauriti gli effetti del sostegno statale senza precedenti dispiegato in questi mesi. Ma possiamo già anticipare un incremento della disuguaglianza, che sarà tanto più grave quanto più tarderà ad arrivare un vaccino o una terapia efficace.
L’Economist ha coniato l’espressione “90% economy” per descrivere la situazione di un Paese all’indomani della riapertura: le fabbriche sono attive, le scuole piene, i ristoranti aperti, ma le persistenti incertezze e le misure di distanziamento sociale ancora in vigore costringono l’economia a operare a circa il 90% del suo potenziale. Malgrado il desiderio di lasciarsi alle spalle il periodo di lockdown, la vita non è tornata alla normalità. Le difficoltà finanziarie diffuse e il rischio di una seconda ondata rendono gli agenti economici eccezionalmente prudenti, con un conseguente crollo dei consumi discrezionali (cioè della spesa in beni e servizi non essenziali quali, ad esempio, beni per la cura della persona, alberghi, ristoranti e così via). Tale collasso della domanda, unito a una flessione degli investimenti dovuta all’estrema incertezza del periodo corrente, potrebbe spingere molte imprese sull’orlo del fallimento, nonché causare una crescita drammatica del numero dei disoccupati.
Secondo le più recenti stime della Banca Mondiale (qui riportate dal Sole 24 Ore), nel 2020 il Pil globale potrebbe ridursi del 5,2%. Potremmo dunque trovarci di fronte alla quarta recessione più grave degli ultimi 150 anni, dopo quelle del 1914, 1930-32 e 1945-46. Per il Pil dell’eurozona è prevista una contrazione del 9,1%, ma bisognerà aspettare i dati del secondo trimestre per avere un calcolo completo degli effetti del blocco economico deciso per frenare il contagio. Anche gli Stati Uniti subiranno una flessione consistente del prodotto interno lordo (-6,1% secondo la Banca Mondiale). Questa settimana il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha messo in guardia il Congresso sulla “significativa incertezza” che permane circa la rapidità di un’eventuale ripresa, che non potrà dirsi completa finché il pubblico non avrà piena fiducia nel contenimento della malattia. “Più la crisi si protrae – ha dichiarato il chairman della Fed – più è grande il potenziale d’un impatto di lungo termine da perdite permanenti del posto di lavoro e chiusure di business.” Con il rischio di esasperare la disuguaglianza economica già radicata nel tessuto sociale americano.
Tale pericolo risulta tuttavia condiviso da molti Paesi alle prese con il coronavirus. L’impatto economico del Covid-19 è stato tutt’altro che democratico: i più colpiti in termini di occupazione e reddito sono stati i lavoratori meno istruiti, impegnati in mansioni manuali, a più basso reddito o con contratti temporanei (come hanno evidenziato anche i dati Istat). Secondo una recente analisi di Vincenzo Galasso (Covid Crisi Lab Bocconi) e Martial Foucault (Sciences Po – Parigi), in Italia il 61% dei lavoratori laureati ha potuto ricorrere allo smart working, a fronte di un 33% di diplomati. Se due terzi dei colletti bianchi hanno continuato a lavorare da casa, metà dei lavoratori manuali sono invece rimasti inattivi. Per quanto riguarda le differenze di genere, si osserva che le donne sono state costrette all’inattività in misura maggiore rispetto agli uomini (38% contro 30%).
A pagare il prezzo più alto della pandemia sarebbero dunque le fasce economicamente più fragili della popolazione. Secondo la Relazione annuale 2019 della Banca d’Italia, pubblicata a fine maggio, “per le famiglie che prima dell’emergenza sanitaria erano nel quinto più basso della distribuzione, la riduzione del reddito sarebbe stata due volte più ampia di quella delle famiglie appartenenti al quinto più elevato”. Nel primo trimestre del 2020, inoltre, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito da lavoro, misurata dall’indice di Gini, sarebbe cresciuta di circa due punti percentuali, attestandosi al 37% (il valore più alto dal 2009). Gli ammortizzatori sociali previsti nel decreto Cura Italia e nel decreto Rilancio hanno in parte attutito la caduta dei redditi. “Nel medio termine sussiste però il rischio che l’emergenza Covid-19 accentui le disuguaglianze, sia per la maggiore presenza di lavoratori a basso reddito nei settori con più elevato rischio di contagio e con minore possibilità di lavoro a distanza, sia perché gli ammortizzatori sociali offrono un sostegno di natura temporanea, a fronte di ripercussioni potenzialmente durature sulla capacità reddituale dei lavoratori più coinvolti.”
I mutamenti in atto influenzeranno l’agenda dei Paesi colpiti nei mesi a venire. L’attesa crescita della disuguaglianza potrebbe esacerbare le tensioni sociali già presenti e radicalizzare i conflitti politici. Quel che è certo è che più lenta sarà la ripresa, più profonde saranno le cicatrici inferte dal coronavirus.