L’Europa si appresta a passare il periodo natalizio con nuove misure di contenimento della diffusione del virus Covid-19 mentre aspetta con fervore la possibilità di iniziare la campagna di vaccinazione. Preoccupato per l’andamento della pandemia, dopo giorni di indecisione e tavoli di lavoro, anche il governo italiano ha introdotto ulteriori limitazioni per le feste.
La decisione è arrivata dopo che altri Paesi, come la Germania, sono ricorsi all’adozione di misure più rigide per evitare gli assembramenti e limitare le occasioni d’incontro durante una delle festività più sentite dell’anno, il Natale. Nel caso tedesco, ad esempio, la scelta è ricaduta su un lockdown piuttosto rigido a partire dal 16 dicembre: non si impone ai cittadini di non uscire di casa, ma la chiusura delle attività economiche non essenziali, il divieto di ogni evento pubblico e l’obbligo delle lezioni online. Per gli incontri privati è stato stabilito un massimo di cinque persone di due nuclei familiari mentre solo nei giorni delle festività natalizie si potranno incontrare quattro persone oltre a quelle appartenenti alla propria famiglia.
La Germania, però, ha deciso di introdurre tali misure pur registrando meno casi e decessi rispetto all’Italia. Almeno secondo quello che si apprende dalla stampa. Inoltre, con un tempismo perfetto, negli stessi giorni in cui la cancelliera tedesca, Angela Merkel, decideva il lockdown nazionale, in un’Italia quasi tutta “gialla” il governo guardava con preoccupazione alle folle nelle vie dello shopping.
Ma siamo stati davvero inefficienti, rispetto ai cugini tedeschi, nel decidere come intervenire per contenere il più possibile la seconda ondata dell’epidemia? Come spesso accade, la storia è più complicata di quello che sembra.
UN PRIMO CONFRONTO
Innanzitutto il lockdown tedesco è stato deciso in un giorno in cui sono stati registrati 952 decessi da Covid-19, un dato che ha recuperato i ritardi di comunicazione di alcuni Land dei giorni precedenti e provocato un balzo significativo nella quota di decessi ogni 100.000 abitanti (che ha raggiunto lo 0,6). Si tratta di una crescita settimanale di circa 10 punti percentuali. In Italia la decisione del governo di attuare il meccanismo a zone gialle, arancioni e rosse è scattata lo scorso 3 novembre, quando la quota di morti ogni 100.000 abitanti era altrettanto pari allo 0,6 (con un numero di decessi giornalieri di 353) seppur con un aumento più preoccupante del tasso rispetto alla settimana precedente: circa 20 punti percentuali.
Dalle proiezioni su dati reali dell’IHME, Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME), mentre in Italia si toccava il picco della curva del tasso di decessi da Covid-19 sulla popolazione, raggiungendo il cosiddetto plateau della serie, nelle settimane comprese tra il 3 novembre e l’8 dicembre, in Germania la curva era ancora in netta fase ascendente. A scenario corrente, le proiezioni indicano il raggiungimento del picco nel tasso di decessi sulla popolazione tedesca intorno alla fine del mese di gennaio 2021.
Fin qui, dunque, non si può dire che le decisioni prese dal governo lo scorso 3 novembre siano arrivate in ritardo rispetto a quanto fatto attualmente dalla Germania, anche se è pesato a livello sociale e politico il contesto di indecisione e mancanza di unione nel confronto tra governo e regioni.
A essere strana è però l’altalenanza dei dati italiani rispetto a quelli tedeschi.
In Italia l’aumento del tasso dei decessi ogni 100.000 abitanti dopo il 3 novembre è durato più di un mese, fino al 9 dicembre, prima di osservarne una riduzione, che peraltro si è arrestata intorno a un valore pari a circa 1,06 e che, al momento in cui si scrive, non accenna a calare. Secondo le stime, l’attesa decrescita dovrebbe iniziare nei primi giorni di gennaio. Le proiezioni per la Germania, invece, indicano un aumento meno ripido del tasso dei morti sulla popolazione in corrispondenza del picco e una riduzione più costante da lì in poi. Possibile che in Italia la dinamica dei decessi da Covid-19 sia asincrona rispetto all’andamento dell’epidemia?
L’EVIDENZA DEI DATI
Il tasso di positività in Italia ha iniziato a ridursi a partire dalla 46° settimana (9 novembre), mentre quello di mortalità (decessi su casi positivi) è tornato ad aumentare proprio in corrispondenza dello stesso periodo e non accenna a ridursi, segnando ancora un aumento nella 50° settimana, ovvero esattamente un mese dopo (7 di dicembre). A chiudere il quadro, a partire dalla 46° settimana si osserva una costante riduzione dei test per la rilevazione del virus condotti sulla popolazione. Le due serie (tasso di positività e tasso di mortalità) si sono mosse in modo significativamente asincrono anche durante la prima fase dell’epidemia. Mentre il tasso di positività si riduceva a partire dalla 12° settimana (16 marzo), quello di mortalità iniziava a scendere solo dalla 23° (1 giugno).
La curva tedesca, invece, mostra un andamento più sincrono. All’aumento del tasso di positività registrato a partire dalla 45° settimana, è seguita la crescita (meno ripido) di quello di mortalità. Non si osserva, inoltre, la medesima riduzione del numero di test condotti sulla popolazione. La stessa sincronicità tra le due serie si può notare durante la prima ondata. Il tasso di positività ha iniziato allora a ridursi in corrispondenza della 14° settimana (30 marzo), mentre quello di mortalità lo ha seguito a partire dal 4 maggio, ossia la 19° settimana. Non c’è dunque ragione per aspettarsi che le due curve prendano a seguire dinamiche asincrone nei prossimi mesi.
Per approfondire la questione, abbiamo condotto delle correlazioni incrociate tra il tasso di decessi da Covid-19 ogni 100.000 abitanti e numero di persone positive, entrambi con frequenza giornaliera, nei due Paesi. Nella teoria dei segnali, la correlazione incrociata è una misura della somiglianza di due serie in funzione dello spostamento di una rispetto all’altra.
La rappresentazione grafica di questa correlazione, per le due serie in questione, ci mostra per l’Italia come l’andamento del tasso di decessi da Covid-19 sulla popolazione sia spostato di circa 15-20 giorni rispetto alla dinamica dei casi positivi. Questo significa che per osservare una riduzione del tasso di decessi sulla popolazione a partire da una riduzione del numero di persone affette dal virus, servono circa 20 giorni. Per la Germania, la storia sembra essere diversa. La correlazione incrociata tra le due serie ci mostra come l’andamento dei decessi da Covid-19 sulla popolazione sia più o meno sincrono rispetto alla dinamica dei casi positivi. Il massimo della correlazione si incontra infatti tra il “lag -5” e il “lag 0”, ovvero senza che ci sia quasi bisogno di traslare in avanti nel tempo una serie rispetto all’altra. In sintesi, una riduzione del tasso di decessi sulla popolazione a partire da una riduzione dei casi positivi è già osservabile con uno scostamento temporale minimo di circa cinque giorni.
Questi risultati sono coerenti con quanto osservato nel paragrafo precedente.
QUALI POSSIBILI SPIEGAZIONI?
Le possibili spiegazioni per la differenza osservata in tali dinamiche sono di natura diversa e non necessariamente l’una esclude l’altra.
La prima, la raccolta e la qualità dei dati. La difficoltà di diminuzione del tasso di decessi e di mortalità in Italia, rispetto a quanto si osserva per la Germania, potrebbe essere dovuta alla minore capacità di testare la popolazione nel tempo. Con la conseguenza che la riduzione del totale dei casi positivi non si rifletta nella riduzione del tasso di decessi sulla popolazione residente. Inoltre, spesso a livello regionale si riscontrano ritardi nella comunicazione dei dati a livello centrale, che rendono difficile il confronto contestuale tra le diverse informazioni nel tempo.
La seconda è rappresentata dall’accessibilità del sistema sanitario ospedaliero. Un recente paper “Access to intensive care in 14 European countries: a spatial analysis of intensive care need and capacity in the light of COVID‑19”, pubblicato su Intesive Care Med, dimostra che l’accesso geografico ai posti letto di terapia intensiva varia in modo significativo tra i Paesi europei e che una minore disponibilità di tali postazioni, unitamente alla facilità di raggiungere i poli ospedalieri, è stata associata a una percentuale più elevata di casi di morte per Covid-19. La Germania è tra i Paesi in cui si registrano valori più elevati di entrambi i parametri (disponibilità di posti letto in terapia intensiva e facilità di raggiungere i poli ospedalieri distribuita in modo equo sul territorio nazionale). Mentre l’Italia è tra quelli in cui si registrano valori più bassi per tutti e due i parametri. L’accessibilità della popolazione agli ospedali e alle cure per pazienti acuti riduce la probabilità di esiti mortali così come il tempo che intercorre tra la rilevazione di un caso e il suo eventuale decorso ospedaliero.
E infine l’ultima spiegazione, ossia la capacità di presa in carico dei pazienti a domicilio. Secondo alcune stime riportate in un recente articolo pubblicato sull’Huffington Post, si prevede che solo il 9% del totale dei decessi da Covid-19 provenga dai reparti di terapia intensiva. Questo significa che la stragrande maggioranza delle morti legate al virus viene dal domicilio, dai ricoveri ospedalieri ordinari o dalle case di cura. Purtroppo c’è una nota dolente: i dati relativi ai decessi delle terapie intensive non sono pubblicamente disponibili. Le stime, però, sono verosimili. Da un lato, la maggior parte dei casi Covid che portano a decesso riguarda persone in cui il virus fa da detonatore rispetto alle patologie preesistenti (si tratta di casi di pazienti cronici e/o anziani ricoverati per altri problemi nei reparti ospedalieri ordinari o assistiti a domicilio – dato peraltro confermato dalle analisi dell’Istituto Superiore di Sanità). Dall’altro, il sistema sanitario italiano non è efficace nel prendere precocemente in carico i pazienti a domicilio per evitare i decorsi più drammatici e nello scegliere in modo adeguato e repentino il momento in cui trasferirli in ospedale. In Germania, invece, proprio il sistema di presa in carico a domicilio ha funzionato egregiamente, anche attraverso il dispiegamento dei cosiddetti “corona – taxi” che hanno portato nelle case dei malati medici e operatori sanitari.
Sulla carta, l’Italia non ha agito in maniera diversa rispetto alla Germania. Tuttavia è rilevante che le ultime decisioni del nostro governo siano state prese più per l’incomprensibilità del fenomeno in corso (come è possibile che pur riducendosi i casi ancora ci siano così tanti decessi?) che per un effettivo monitoraggio dei parametri scelti a suo tempo per la suddivisione dell’Italia in zone. Da qui, la decisione – che non si può certo definire repentina – di introdurre ulteriori misure di restrizione. Insomma, mentre la Germania osserva un’evoluzione coerente e agisce di conseguenza, l’Italia si trova ancora a osservare dinamiche nelle quali si celano numerose domande e incompletezza di informazioni.