Si pensa generalmente ai piani nazionali di ripresa e resilienza come a programmi di spesa. Vengono intesi soprattutto come pacchetti di stimolo utili a risollevare il ciclo economico crollato a causa della diffusione della pandemia Covid-19. Per questo, alla lettura del Pnrr italiano, non può non stupire la chiarezza con cui si asserisce che “i Piani nazionali di ripresa e resilienza sono innanzitutto piani di riforma”, consegnando alle riforme, appunto, non solo il ruolo di parte integrante dei piani nazionali, ma anche di catalizzatori della loro attuazione. La rilevanza assegnata ai provvedimenti nell’ambito del piano non è invero una novità per chi segue il dibattito europeo in merito, riaffermando la nota attenzione da parte delle istituzioni europee per l’introduzione di riforme negli Stati membri.
In un Paese in cui, tuttavia, da diversi decenni a questa parte non c’è invocazione più diffusa quanto quella a fare riforme – spesso svincolate da un’opportuna analisi di contesto e soprattutto da adeguate capacità di attuazione – verificare a quali interventi di politiche pubbliche viene legata la spesa di Next Generation Eu assume un rilievo particolare. Il Pnrr include un novero ambizioso di misure. Nel complesso esse mirano chiaramente a rimuovere ostacoli e diminuire oneri burocratici che oggi vincolano la realizzazione di investimenti o ne riducono la produttività e le possibilità di sviluppo.
In particolare, sono quattro i filoni maggiori di intervento, spesso sollecitati al nostro Paese anche da parte di istituti internazionali (si pensi all’Ocse con il rapporto Going for Growth 2021): la pubblica amministrazione, la giustizia, la semplificazione della legislazione e la promozione della concorrenza. Più nello specifico, possiamo distinguere tre tipologie di riforma: quelle orizzontali, trasversali alle sei missioni che compongono il piano e che mirano a migliorare il clima economico del Paese attraverso innovazioni strutturali dell’ordinamento, quelle abilitanti, che ambiscono a scioglierei i nodi amministrativi, regolatori e procedurali che impediscono l’attuazione del piano e in generale frenano le attività economiche, e infine quelle di carattere settoriale, che afferiscono, quindi, a missioni specifiche.
In questo contesto, la transizione ecologica rischia di essere uno di quei settori dove la disputa attorno alla destinazione dei fondi oscura maggiormente la necessità di profondi interventi. In queste settimane ferve il dibattito, non privo di senso chiaramente, sul volume delle risorse per la transizione, sui progetti che ne beneficeranno, su fonti, tecnologie e infrastrutture su cui si intende puntare, con comparazioni rispetto agli altri grandi Paesi Ue e con le precedenti stesure del piano. Si tratta di una riflessione che spesso risponde a letture differenti degli scenari energetici per tempistiche, mix delle fonti, cicli dell’innovazione, analisi dei costi, visioni del mercato o anche per legittimi interessi aziendali. Eppure, all’allocazione dei fondi non può non corrispondere una significativa evoluzione normativa per conseguire i traguardi di decarbonizzazione. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha evidenziato il gap tra obiettivi e trend attuale nella sua replica sul Pnrr alla Camera dei Deputati: “Il target previsto è il 72% dell’elettricità globale da fonte rinnovabile nel 2030. Vuol dire installare circa 70 GW di potenza rinnovabile nei prossimi dieci anni. Il ritmo attuale d’installazione è 0,8 GW”. Questo e gli altri obiettivi della transizione ecologica sono altresì oggetto di riflessione. Il Pniec e la Strategia di Lungo Termine per la Riduzione delle Emissioni dei Gas a Effetto Serra dovranno essere necessariamente aggiornati per inquadrare l’evoluzione del sistema energetico italiano all’interno del più elevato livello di ambizione stabilito in sede europea.
I programmi di investimento, se vorranno avere successo, quindi, non potranno che essere affiancati da una strategia di riforma che rafforzi le condizioni di competitività delll’Italia, intervenendo su temi di carattere regolatorio, ordinamentale e di contesto. Nulla di scontato in un settore che da anni, per dirne una, si trascina in una situazione di grande incertezza per gli operatori e confusione per i consumatori il percorso di superamento delle tutele di prezzo nei mercati dell’energia al dettaglio. Se si parla di riforme di settore, pertanto, è naturale fare riferimento alla necessità di adottare misure di semplificazione e snellimento per l’approvazione di nuovi impianti Fer, tema ormai sempre più condiviso tra operatori, tecnici, esperti e associazioni. I più urgenti provvedimenti in questo senso dovrebbero essere assunti già entro fine mese con un nuovo decreto Semplificazioni. Ma si pensi anche alla normativa richiesta per abilitare la produzione e il consumo di gas rinnovabile o per definire standard e procedure di sicurezza per consentire il ricorso al vettore energetico di tendenza in questo momento, l’idrogeno.
Allo stesso tempo, è necessario valutare la coerenza tra la generalità delle decisioni di policy assunte dal governo e gli obiettivi di sostenibilità. In questo ambito, l’idea di una “bollinatura carbonica” dei provvedimenti dell’esecutivo lanciata dal ministro della Transizione ecocologica Roberto Cingolani in una recente intervista al Corriere della Sera e avanzata da I-Com in tempi non sospetti rappresenta una strada da percorrere. Riprende anche lo spirito alla base del principio DNSH utilizzato per il Recovery and Resilience Facility secondo quanto previsto dalla Tassonomia europea sulle attività sostenibili. Per rafforzare il percorso di transizione ecologica, il contributo della comunità scientifica e di esperti indipendenti è fondamentale. La proposta sostenuta dalle autorevoli voci di Romano Prodi e Alberto Clô di dare vita un Comitato Tecnico Scientifico ad hoc, riprendendo quanto fatto dalla Commissione europea con la fresca costituzione dell’European Scientific Advisory Board on Climate Change e da altri 12 Paesi europei, va nella direzione di dare piena consapevolezza tecnica alle scelte della politica sul sentiero della transizione ecologica, stretto quanto necessario da percorrere.