Curare lo straniero: i numeri dell’integrazione sanitaria in Italia



Angela Zanoni
integrazione sanitaria

Il programma del piano EU4Health per il 2022 stanzia 10 milioni di euro per la cura della salute mentale. Uno degli interventi previsti si sostanzia in una forma di integrazione sanitaria a tutela delle popolazioni migranti e rifugiate: il primo atto in proposito riguarda l’assistenza psicologica per i rifugiati ucraini, finanziata con 2 milioni di euro.

Questo genere di iniziative dimostra una presa di coscienza, a livello europeo, della necessità di un ripensamento del bene pubblico salute al di là dei confini nazionali: il concetto di frontiera sanitaria ha assunto dignità e valore nel quadro pandemico e si prospetta di ridefinire il discorso sulla sanità negli anni a venire.

Al 1° gennaio 2022, erano 5.193.669 gli stranieri residenti in Italia. Questo numero rispecchia, però, solo l’immigrazione regolare: si stima che le entrate irregolari in Italia, solo dal Mediterraneo, siano state 52.900 tra gennaio e agosto 2022, un dato comunque minore rispetto al 2021 e agli anni precedenti il 2020. Secondo dati Eurostat, i richiedenti asilo erano 45.200 a fine 2021, mentre i titolari di protezione internazionale temporanea sono 143.110 al luglio 2022.  Nel 2019, 27.579 stranieri hanno fatto ricorso alle strutture ospedaliere pubbliche in regime ordinario; tra questi, 16.676 erano in condizione di indigenza e la spesa per l’intervento è stata interamente a carico dello stato. Questi numeri devono essere contestualizzati: nel complesso, gli stranieri a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) corrispondono allo 0,5% del totale dei ricoveri per acuti in regime ordinario.

integrazione sanitaria in Italia

L’assistenza sanitaria dello straniero si sostanzia in modo diverso a seconda del suo status. Il primo stadio di assistenza per migranti irregolari è organizzato nei Centri di accoglienza (CAS) governativi, dove la permanenza dovrebbe durare al massimo un mese, con l’eventuale coinvolgimento dell’Unità Sanitaria Locale. Il successivo grado di accoglienza è garantito dal Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI). Sia i beneficiari di protezione internazionale che i richiedenti asilo hanno diritto all’iscrizione obbligatoria al SSN italiano: da questo momento hanno diritto ad avere un medico di medicina generale o un pediatra e possono ricevere assistenza sanitaria all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza, a parità di condizioni con i cittadini italiani. Un discorso a parte va fatto per i bambini e minori non accompagnati che, in virtù della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo degli articoli 10 e 32 della Costituzione, hanno dal 2017 diritto all’iscrizione al SSN in regime di assoluta parità con i minori di cittadinanza italiana, qualsiasi sia il loro status.

Secondo il Migrant Integration Index, l’inclusione sanitaria è uno dei punti di forza delle strategie di inserimento dei migranti in Italia. In effetti, il quadro sanitario per gli stranieri presenta condizioni piuttosto favorevoli, soprattutto se viste in relazione agli altri indicatori di integrazione.

Integrazione sanitaria in Italia

Rilevazioni Eurostat confermano che le condizioni sanitarie della popolazione straniera in Italia sono complessivamente buone: una survey riguardante l’autopercezione dello stato di salute tra cittadini dello stato ospitante e non cittadini nei paesi Ue rivela che in Italia il divario tra i due gruppi è minore rispetto agli altri paesi dell’Unione, nonostante esistano disparità non trascurabili nella fascia 45-64 anni (l’8% dei cittadini dichiara di versare in un cattivo stato di salute, contro il 10% degli altri cittadini e il 14,8% dei cittadini non UE).

Ciò nonostante, la lotta contro l’emarginazione sanitaria deve far fronte agli aggiornamenti legislativi in materia di protezione internazionale, primo tra tutti il dl 113/2018 (cd. Decreto Sicurezza), che ha rimosso il regime di permesso per protezione umanitaria, della durata massima di due anni. Si stima che, a seguito dell’approvazione e della conversione in legge del decreto, il numero di migranti irregolari in Italia sia cresciuto di oltre 26.700 unità tra 2018 e 2020. Per queste persone, il mancato riconoscimento della protezione internazionale comporta anche un accesso più incerto all’assistenza sanitaria.

Secondo IDOS, la presenza straniera in Italia è “strutturalmente indirizzata all’irregolarità”: uno status irregolare complica il processo di integrazione e, di conseguenza, l’accesso ai servizi sanitari. L’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali riporta che “gli immigrati irregolari, che solitamente non sono autorizzati a lavorare, spesso devono pagare per ricevere quelle prestazioni sanitarie che invece sono disponibili gratuitamente per gli altri cittadini, comprese le cure di emergenza. Persino i gruppi più vulnerabili, come le donne in stato di gravidanza e i minori, potrebbero non avere diritto a cure gratuite al pari dei cittadini. Inoltre, anche quando gli immigrati irregolari hanno diritto a un’assistenza sanitaria gratuita ai sensi della legislazione nazionale, potrebbero comunque dover soddisfare requisiti amministrativi che, a livello pratico, ostacolano l’accesso alle prestazioni sanitarie (ad es., l’obbligo di esibire un certificato di residenza)”.

Inoltre, non sempre le istituzioni che dovrebbero garantire accesso sicuro all’assistenza si dimostrano adeguate. Lo scorso aprile, la Corte d’Appello di Venezia ha condannato la Regione Veneto per discriminazione collettiva, in riferimento a un’ordinanza che negava l’iscrizione al SSN per i familiari stranieri a carico di cittadini italiani, che è stata dichiarata nulla. Nella fase più acuta della pandemia, i CAS non erano stati considerati nei piani vaccinali ministeriali.

La salute dei migranti chiama in causa l’essenza del Servizio Sanitario Nazionale. La cura dello straniero, anche di quello irregolare, testa l’universalità, l’uguaglianza e l’equità che sono princìpi cardini del SSN. Non solo: alla luce della recente pandemia di Covid-19, si rende necessaria una rinnovata attenzione al tema della integrazione sanitaria, anche al di là dei limiti di cittadinanza. Sapendo ormai che la malattia non conosce confini e che la sicurezza sanitaria passa per l’accesso diffuso alle cure, è tempo di ripensare all’inclusione sanitaria dei migranti non nel senso di un peso economico, ma di un’opportunità di coesione e resilienza delle nostre comunità.

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